Nei giorni scorsi è stata pubblicizzata la notizia del varo di un corso per guide turistiche specializzate in turismo religioso finanziato dalla Regione Sardegna.
Niente da dire. Cosa ottima.
Il luogo in cui questo evento è stato presentato fa però pensare: la Facoltà Teologica della Sardegna.
La Facoltà Teologica della Sardegna sta decadendo paurosamente e con essa la formazione dei sacerdoti sardi.
I gesuiti che la gestiscono non inviano qui da noi le loro prime file intellettuali, riservate a più grandi e titolati atenei, e le risorse finanziarie sono così poche, stentate e contate, che valenti studiosi, specie se laici, che avrebbero voluto continuare a lavorare per la Facoltà, alla fine hanno dovuto optare per altre istituzioni accademiche e professionali.
Non che la chiesa sarda non sappia di questo vulnus formativo che la affligge, ma sa anche che, a carte perse, può porvi rimedio inviando i propri aspiranti sacerdoti nelle facoltà della penisola e così continua a dedicarsi a altre iniziative e ad altri progetti e non a edificare in Sardegna un contesto culturale di qualità per i sacerdoti.
È questa scelta programmatica verso la decrescita passiva che fa male.
Fa male perché la decadenza formativa del clero si sente nelle parrocchie.
Troppi giovani parroci fraintendono la spiegazione del Vangelo con la testimonianza personale; troppi preti che dicono ‘io’, che raccontano di sé, che psicologicizzano anche le zanzare. E troppi altri che, non essendo più attrezzati per capire né la realtà né il Vangelo, la buttano sul precettismo e sul diavolo, sul peccato e sul demonio.
Oscilliamo tra esistenzialisti inconsapevoli e lefreviani mascherati. Ma si può?
Fa male perché la debolezza del mondo cattolico (mi piacerebbe di più chiamarlo ‘cristiano’) si sente nel dibattito culturale.
I cattolici parlano tra di loro delle cose loro che è esattamente la strada attraverso cui l’autentico spirito religioso (cioè lo spirito di chi cerca ciò che profondamente gli corrisponde) si trasforma in rigido ritualismo, in tradizione e in superstizione. Oppure in lobbismo. Talvolta l’etica e l’estetica dei capi di talune associazioni sono le stesse dei presidenti dei Rotary.
Ma alla fine il problema è sempre la verità.
I ragazzi vengono a studiare storia da noi, in università, e scoprono, per esempio, che il Natale per secoli non è stato il Natale, ma una festa paganissima che festeggiava il solstizio d’inverno.
Glielo si vuole spiegare che si festeggia l’avvento di Dio nella storia, ma che questo fatto lo si sarebbe potuto festeggiare anche in altri periodi dell’anno e che la scelta cadde in quella data per uno spirito di sostituzione di una festa pagana, o se si vuole, per una antica prassi da cancel culture?
Quando i ragazzi scoprono la ‘verità’ della storia, confondono l’acquisizione della consapevolezza di un lungo processo, fatto di eventi, simboli e interpretazioni, con lo smascheramento di una grande menzogna e così buttano via il bambino con l’acqua sporca.
Glielo si vuole spiegare che le lettere di san Paolo sono terribili per il rapporto tra l’uomo e la donna di oggi, perché scritte da un settario in un tempo assolutamente sessista? Che cosa toglierebbe una sana critica di san Paolo alla sua santità? Nulla, perché anche la santità è storica. Di san Paolo, come di ogni cosa, bisogna saper prendere il buono, non tutto.
Si vuole dire ai cristiani che non tutta la Bibbia è parola di Dio, ma che tanta, tantissima, è parola d’uomo, che al suo interno sono stati inclusi testi simili alle cronache monastiche medievali o a testi letterari come il Cantico dei cantici (il tuo alito profuma di mele, il tuo ombelico è come un calice di vino…, chi non ha pensato a questi versetti stando al fianco e tra le braccia della donna amata? Chi non capisce quanto il piacere sia un antipasto di giustissima felicità che da sempre è stato guardato dai più lucidi come un dono divino e non come un diabolico tranello?)?
Si vuole dire ai cristiani che noi continuiamo a pregare con i Salmi, ma che sono state scritte nei secoli recenti e passati preghiere molto più intense e potenti dei salmi, ma che questi sono parola di Dio e quelle no?
Si vuole dire oppure no che Gesù non ha mai pronunciato una sola parola sulle abitudini sessuali delle persone, ma ha difeso con tutte le sue forze le donne e i bambini che ai suoi tempi venivano abbandonati, con una facilità estrema, e buttati per strada da uomini facili al ripudio?
Si vuol dire ai cristiani che più studiamo i vangeli, nati come banali catechismi di diverse comunità con diversi bisogni, più capiamo che sotto tante contraddizioni brilla una cosa essenziale: qualcosa di straordinario, inatteso, imprevisto è accaduto duemila anni fa. Senza questo evento i Vangeli sono filologicamente inspiegabili. L’essenziale nel cristianesimo è quell’evento: il ritorno di un uomo dalla morte. È questo evento che legittima il suo insegnamento e il suo insegnamento è semplice e non è gravoso.
Per capire queste e altre numerosissime cose bisogna studiare.
Per credere, bisogna incontrare anche testimoni, non retori o psicologi o manager: testimoni, ma non ho mai conosciuto un solo testimone che abbia detto ai suoi amici di rinunciare a capire, a conoscere.
Se si trovano i soldi per formare le guide turistiche, perché non trovarli per un serio impegno culturale, per far fiorire in Sardegna un grande e robusto polo culturale del mondo cristiano, una facoltà non della semplice concessione di titoli accademici, ma della comprensione della figura di Gesù Cristo? Perché ogni diocesi ha una sua strategia culturale nella quale butta una valanga e mezzo di denaro, competendo in mondanità con le altre diocesi, cioè in successo? Non lo capisco e mi rattrista almeno quanto l’assurda inattualità dei paramenti liturgici.
Semplicità, serietà e verità bastano e avanzano.
Forse sbaglio, ma vorrei incontrare più preti colti (meglio se capaci di fare un qualunque mestiere, perché lavorare migliora lo spirito, come insegnava san Paolo che non si è mai fatto campare da chicchessia) che guide turistiche agguerrite.
Perdonate l’intemerata. Sono così da quando ero ragazzo. Non riesco a starmi zitto.
Gentile Pinna, solo da un’abitudine sbagliata a ergersi a giudici dei comportamenti altrui può argomentarsi con eccesso di sicurezza di boomerang per averle restituite dopo averle ricevute. Io non ho dato niente a nessuno e le ho risposto con cortesia, ma dato il tono con cui lei reinterviene, penso di dover adeguare in qualche modo anche il mio. Lei vuole argomentare che Paolo aveva della donna la stessa concezione che oggi ne ha un uomo o una donna del nostro tempo e di cultura occidentale? Vuole fare di Paolo un progressita? Si accomodi, liberissimo. Ci si applichi pure a traduzioni che valorizzino accezioni più adatte ai tempi. Per me il risultato non cambia, e se questo vale per me e solo per me, poco male. Ma mi pare che non si serva né la verità né l’evangelizzazione a tirare per i capelli i tempi. Non c’è un testo che sfugga al suo contesto. Io trovo che per esempio, e solo per esempio, I cor 11,8 sia indicativo della mentalità di Paolo e del fatto che avesse una testa eminentemente clericale. Ricorda le haustafeln dei colleghi tedeschi? A me pare che non avessero torto, sebben sia verissimo che i commentatori fossero più sessiti di lui, su questo nessun dubbio.
Quanto poi alla questione del ritorno agli originali e alla bontà delle traduzioni, come sappiamo noi tutti che ci spacchiamo la testa sulla polvere che la storia deposita sui testi, la questione qui non è solo di errate traduzioni, ma di non ergere a testo dotato di autorità, parola di Dio, ciò che è glossa o è testo che ha giocato il suo successo su un’attribuzione autoriale di prestigio ma non vera. La lezione di Motzo, per me, è stata lezione di scienza e libertà. Per voi no? Pace, c’è posto per tutti. Su questo, se crede, può provare a giocare a sberle con me quando crede.
Quanto ai gesuiti e alle università: mai guardato ai luoghi di provenienza dei docenti. Essere sardi o di fuori non è rilevante. Lo è invece sapere e potere insegnare, essere messi nelle condizioni di farlo e di farlo bene. Grato per le informazioni sulla Facoltà teologica, me ne rammarico due volte, perché vede, io sono lo stesso che ha garantito il primo finanziamento del Consiglio regionale alla Facoltà, su sollecitazione del dott. Alessio Loi, un grande dirigente del Consiglio e un vero cristiano. Vedere che non sia stato valorizzato anche nella direzione da Lei descritta, fa male. Buona fortuna.
Gentilissimo dott. Maninchedda, il tanto di “sprezzante” che lei ha visto nella mia “precisazione” era quanto bastava per dire quello che lei ha mostrato con molta eleganza di capire molto bene, parlando di “sberle” come boomerang che ritornano indietro a chi ne ha date per primo. Tuttavia, mentre mi unisco al ricordo del compianto Vincenzo Loi di cui lei ricorda di aver seguito con profitto gli insegnamenti, chiarisco e ribadisco che il “sessismo settario” attribuito a Paolo era ed è piuttosto da attribuire ai commentatori di Paolo. E forse non è più questione di attardarsi in preliminari difensivi, come la distinzione tra lettere paoline e deuteropaoline, o accettazione o non accettazione di inserzioni secondarie, come lei ben ripete. Come non è nemmeno necessario dichiararsi d’accordo che nella Scrittura “ispirata” ci sono elementi di “cultura” legati alla provvisorietà del tempo in cui nascono, come lei appunto mette a fondamento del suo argomentare. Forse è più questione di superare le ambiguità delle traduzioni ancora promosse ufficialmente dai vescovi italiani, e che certo riproducono quelle opinioni da lei citate, per andare, come lei sa bene, ai testi originali, i quali, per limitarsi di nuovo al passo cui lei allude, non permettono assolutamente di continuare a ripetere che «la donna deve essere, nella sua vita civile, subordinata all’uomo» e che «questo concetto invece resta evidente in Paolo» (cito la sua risposta). Tanto per restare nell’ambito della Facoltà Teologica di Cagliari, a giugno di quest’anno fu discussa una tesi proprio su quel brano della lettera agli Efesini, che mostra il perché non è possibile ripetere questi ritornelli. Forse non è indifferente per il suo articolo precisare che la tesi non era di uno dei seminaristi maschi, futuri predicatori di omelie in abiti e discorsi che lei giustamente qualifica come «assurda inattualità», ma di una studente, che, proprio perché donna e madre di famiglia, purtroppo non potrà continuare il percorso accademico per arrivare a insegnare con tutti i titoli in facoltà, senza sentire il bisogno di lamentarsi dei gesuiti «che non inviano qui da noi le loro prime file intellettuali», anche perché in quella circostanza il gesuita arrivato dal continente c’era e tutti hanno avuto occasione di fare confronti.
Quanto poi alle recenti iniziative del cosiddetto “turismo religioso”, strano ossimoro in realtà, forse converrebbe chiarire quali sono i limiti del coinvolgimento della Facoltà in un progetto nato all’interno degli accordi anche finanziari tra vescovi sardi e uffici della Regione Sardegna. È vero che la Facoltà organizzò anni fa un master di formazione per guide turistiche così da favorire la conoscenza del patrimonio artistico e archeologico attinente alla storia del territorio, ma da quello che ricordo senza innalzare e vantare bandiere e finanziamenti di “turismo religioso”.
Giustamente lei si chiede: «Se si trovano i soldi per formare le guide turistiche, perché non trovarli per un serio impegno culturale, per far fiorire in Sardegna un grande e robusto polo culturale del mondo cristiano…?». Alcuni anni fa, quando avveniva l’inserimento della Facoltà nella rete accademica europea (il cosiddetto “processo di Bologna”), come vicepreside feci un tentativo di caratterizzare il titolo accademico della Facoltà con la qualifica di “inculturazione della fede”. Riuscì solo in parte e dopo qualche anno ci fu un ritorno indietro, senza una uguale discussione, ai titoli accademici per acquisire i quali, guarda caso, i vescovi inviano a Roma i loro seminaristi. Qualcosa vorrà pur dire per le cose di cui lei si lamenta. Purtroppo, giustamente. E in questo, al di là delle sberle, concordo. (Antonio Pinna)
Gentilissimo Antonio Pinna, grazie per la “sprezzante” precisazione. È sempre utile una sberla che qualcuno ritiene di dover somministrare. Tuttavia, vorrei rassicurarla. Sono consapevole che occorre distinguere le lettere paoline vere e proprie dalle deutero-paoline. Lo avevo studiato con profitto con il compianto Vincenzo Loi. So che occorre saper distinguere ciò che si trova nelle une e nelle altre. So che il celebre passo che zittisce le donne è molto probabilmente una glossa. So anche che tra le persone nominate da Paolo tra i suoi collaboratori sono in maggior numero le donne degli uomini. Ma sicuramente non so tantissime altre cose. Ciò che però intendevo dire è che resta in Paolo un tasso di misoginismo-sessismo che non è personale, è storico e che dunque va spiegato. Oggi nessuno accetta che si pensi e che si dica che la donna deve essere, nella sua vita civile, subordinata all’uomo e questo concetto invece resta evidente in Paolo, anche se Paolo accetta che le donne profetizzino. Perché Paolo parli al nostro tempo, occorre sapere anche dire ciò che del suo messaggio è irrimediabilmente superato, ciò che in lui non è parola di Dio ma d’uomo. Dio non direbbe mai a una donna di essere subordinata al suo marito. È da secoli che la Chiesa risolve con l’interpretatio e col magistero i problemi che i suoi testi pongono alle persone di ogni tempo. Si continui così, se si crede, io ho imparato a difendermi da queste pratiche.
Facile essere d’accordo su alcune riflessioni iniziali sulla Facoltà Teologica, e specifico che vi ho insegnato Sacra Scrittura per quaranta anno, più o meno. Ma quando si mette a insegnare consa bisognerebbe insegnare, dà conferma involontaria di una sua frase che dice «Per capire queste e altre numerosissime cose bisogna studiare».
Siccome le cose sono appunto numerosissime, mi fermo solo su quanto dice delle lettere di Paolo. D’accordo su una sana critica delle lettere paoline, ma appunto una “sana critica” più recente, evidentemente, delle fonti cui si riferisce l’autore dell’articolo, lo avrebbe aggiornato che a essere sessisti erano alcuni, o forse anche la maggior parte dei commentatori, e che oggi lo sono rimasti soltanto pezzi di articoli come questo. Qualche studente e studentessa fra gli alunni che ho avuto in Facoltà glielo potrebbe anche confermare. Saluti.
Antonio Pinna
Condivido meda cantu at iscritu Paulu.
Si su “sale” essit bambu cun ite nos amus a “cundhire”?
Semus “servi inutili” ca Deus est che unu mere chi tenet s’impreu de s’irrichire e tenet bisonzu de dipendhentes fintzas pagados “in nero” e a cuntratu de isfrutamentu chi mancari non li rendhent meda, o ca nos cheret totu fizos suos totu frades chi s’istimant, istimant e rispetant líbberos e responsàbbiles?
Vorrei incontrare preti che operano secondo il Vangelo, che è la vera rivoluzione.
Buongiorno,
Non vi è dubbio che la nostra società assista inesorabilmente alla perdita di molti,se non tutti, ruoli di riferimento.
Nessuno nega il ruolo positivo esercitato in piccole e grandi comunità, per secoli, da sacerdoti e figure religiose varie, ma al di la della presunta osmosi spirituale e culturale che potrebbero esercitare e non esercitano, temo che non si possa imputare a loro l’ignoranza religiosa.
Prima di arrivare nelle aule di storia dell università un ragazzo di 18/19 anni ha “goduto” di 16 anni di insegnamento della religione. 1.5 ore(×33 settimanex 3 anni) alla scuola dell infanzia, 2 ore(×33settimane×5anni) alla scuola primaria, e poi 1 ora alla settimana per altri 8 anni.
Perché tutta questa ignoranza? Che cosa è stato detto loro in queste centinaia di ore di religione pagate dal Paese?
L alunno in questione non si è avvalso dell insegnamento della religione cattolica, perché pensava fosse catechesi?
L alunno ha avuto la sfortuna di incontrare solo insegnanti di religione poco preparati?
È possibile che l’insegnamento sia una forma di ammortizzatore sociale per persone sottomesse all’autorità ecclesiastica e quindi non necessariamente preparate?
È possibile che chi porta il Vangelo nelle scuole non sappia collocare né storicamente né geograficamente, non solo l autore dei salmi, ma manco di Gesù. È possibile che i nostri ragazzi abbiano una conoscenza così labile delle radici religiose della propria cultura da non riuscire a sostenere una conversazione decente con un musulmano o un testimone di Geova?
E allora che facciamo?
Portiamo in giro i turisti nelle nostre chiese vuote a guardare una bellezza spogliata dei suoi contenuti.
La religione dovrebbe dare un “senso ” a tutte le cose, magari pure una direzione. Siamo sicuri che il senso giusto sia quello economico?
I VESTITI NUOVI DELL’IMPERATORE
La riflessione odierna di
Paolo Maninchedda ci offre elementi rari sui quali approfondire il nostro rapporto con il cattolicesimo. Cattolici praticanti, tiepidi, relativisti, cristiani, agnostici o atei, tutti noi sardi o quasi, abbiamo vissuto la parte più acerba della nostra vita con educazione religiosa cattolica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ovvero il buttare acqua sporca e bambino, ben descritta da Paolo Maninchedda.
La posizione dominante tra i cattolici è appunto quella relativista, con una significativa parte di essi che praticano un cattolicesimo adattato ai propri usi e costumi.
La definizione dei sacerdoti, polarizzati in due grandi estremi, è una fotografia della realtà. Triste ma vera realtà.
Nella storia cinese, Deng Xiaoping, che si definiva storico materialista, invitava i cinesi a contestualizzare i pensieri del loro grande timoniere Mao Zedong e non consentire a questi precetti di essere applicati in termini decontestualizzati per non nuocere alla vita sociale del paese.
Nel mondo cattolico tale visione non trova ampi spazi nell’insieme di gerarchie ecclesiastiche e fedeli.
Un mondo conservatore che ritiene ancora di insegnare e imporre anche ai più piccoli “i doveri del buon cattolico” insieme a tanti dogmi.
Ma una religione può essere una camicia di forza?
Forse per mia ignoranza o poca voglia di cercare, ho conosciuto pochi testimoni autentici della cristianità. Ci sono. Ed è bellissimo onorarsi della loro amicizia.
Ma ho anche conosciuto tanti sacerdoti che non sono riusciti a spiegare l’essenza più pura di questa bellissima e immeritata religione: l’amore e il desiderio di vicinanza a Gesù Cristo.
Insegnare la dottrina nei modi più usati produce perlopiù fughe dei futuri fedeli.
Negare aspetti storici e ammantare la realtà di bugie ha prodotto e continua a produrre eserciti di giovani che una volta affrancati culturalmente non perdoneranno il grande inganno e si sottrarranno in mille modi alla morsa intellettuale.
Parlare di cultura, stimolare alla cultura più vera. Questa è la sfida autentica che il popolo sardo deve affrontare. Anche partendo dalla religione per poi comprendere quanto la cultura ci può fare forti nei confronti del potere vessatorio, compreso quello politico.
È sempre una questione di poteri.
Se si vorrà continuare a vedere ciò che non esiste, i vestiti nuovi dell’imperatore, la strada indicata da questa classe politica-religiosa va benissimo: i corsi professionali per le guide turistiche religiose.
Attendiamo fiduciosi i Corsi professionali per Sherpa.
H.C.A.