(Per gentile concessione dell’Autore, riproduciamo il suo intervento su Facebook a commento dell’articolo di ieri. Ringraziamo molto Paolo Fadda per la cortesia e per la profondità della riflessione)
Ci sono critiche che fanno bene, che inducono a farsi degli esami di coscienza, ad impegnarsi per emendarsi e cambiare. È il caso – per noi cagliaritani – dell’articolo che Paolo Maninchedda ha pubblicato sul suo sito Sardegna e Libertà dal titolo “Le bugie della Cagliari bene”.
Ci sono nel suo scritto parole dure, forse anche impietose ed irriguardose, che fanno anche male, ma che, per il realismo dell’analisi, inducono a riflettere ed a ripensare il ruolo passato, presente e futuro della prima città dell’isola. Lo scritto è motivato dall’inserto dedicato dal quotidiano cagliaritano ad uno dei suoi fondatori – Francesco Cocco-Ortu – ed alla dedica di quattro sale del nuovo MACC a lui, ad Antonio Gramsci, Emilio Lussu e Salvatore Mannironi, come personaggi emblematici della storia sarda (Ma come si fa a solo pensare di mettere insieme questi quattro personaggi? Come diavolo si fa?, si domanda).
Bisognerebbe ricordare, scrive in proposito Maninchedda, «che Cagliari, proprio in ragione della sua aristocrazia e della sua Destra è sempre stata con le spalle girate alla Sardegna, è sempre stata socialmente gerarchizzata con un ceto egemone che tendenzialmente è sempre passato dai ruoli politici a quelli imprenditoriali e poi da questi a quelli parassitari, alle rendite immobiliari (da mezzo secolo, il canale per far soldi e divenire don – di fatto – è la sanità). Questa è la miserevole parabola che ancora quattro salottini ammuffiti celebrano come cursus honorum».
Di fatto è una verità che fa male, perché fotografa impietosamente l’involuzione avvenuta in questi ultimi anni nella borghesia cagliaritana, da ceto innovativo e produttivo a ceto in gran parte parassitario e redditiero (dove sono, infatti i Pernis, i Trois, gli Scano o i Capra di questo terzo millennio?). Nell’analisi ci sono certamente delle semplificazioni un po’ affrettate, ed anche imprecise (la classe politica della prima età borghese era figlia dell’imprenditoria, e non viceversa), ma il giudizio complessivo va accettato.
Infatti, la cultura della città, cioè il suo senso e la sua volontà di progresso, sembra essere divenuta un reperto d’archeologia urbana ed anche la sua interpretazione è in mano – ahinoi! – agli archeologi più che agli urbanisti, ai sociologi ed agli imprenditori. Non a caso la musealizzazione d’ogni valenza immobiliare desueta (dal vecchio carcere alle ex caserme e così via) pare essere la scelta obbligata per ogni riconversione. In linea con un futuro, della città e dell’isola, da affidarsi ai reperti, pur importanti, del loro passato, più che ai progetti innovativi ed efficaci per il loro progredire.
Per chi segue le cronache quotidiane sulla vita della città, su quel che accade e su quel che se ne scrive sul giornale, ne ritrova una chiara conferma. Nei tempi di Bacaredda ed anche di Crespellani le pagine cittadine erano aperte da uno scritto – il c.d. “capocronaca” – che indicava i bisogni concreti di crescita e di miglioramento auspicabili per la città: oggi, al contrario, si privilegia il bisogno di dare visibilità al passato il più remoto possibile, a quel che accadde nel tempo che fu (e l’anfiteatro romano ridotto, per esasperazioni archeologiche, ad una abbandonata petraia e non ad un contenitore vivo ed attuale di musiche e canti, ne è la pesante metafora).
Ed è per questo che – da cagliaritano DOC – desidero ringraziare affettuosamente Paolo Maninchedda per il suo articolo. Perché, per ritrovare la voglia di procedere verso il progresso, le critiche sono il motivo esemplare di sprone.
Paolo Fadda
Sig. Ortu, parli del merito, parli del merito. Mi fa sorridere l’idea che per lei i fatti sono matematici.
…Tutte considerazioni personali che mettono in mostra se stessi..e la propria dialettica ed il proprio lessico..,ma non analizzano i dati secondo una realtà dei fatti matematici,storica .. privi di capacità di sintesi ed analisi veritiere…belle supposizioni molto articolate e fantasiose…libere interpretazioni…!!
Si linka l’intervento del pubblicista Gianfranco Murtas sul sito di Giornalia.com:
https://www.giornalia.com/articoli/cocco-ortu-il-ministro-liberale-ed-antifascista-in-ideale-compagnia-di-lussu-gramsci-e-mannironi-a-proposito-di-una-polemica-aperta-da-paolo-maninchedda/
Il commento di Mario è faticoso da leggere: troppe dh e troppe tz.
E che catzo!
È forse opportuno ( ma risulta comunque evidente) che si parla di Paolo Fadda storico e scrittore!
L’articolo che ho appena letto mi fa venire in mente l’assessore Pellegrini che, al tempo del progetto Betile dell’archistar Zaha Hadid, disse che il museo avrebbe rovinato lo skyline della città di Cagliari. Mah, mi viene da pensare al Gugghenheim di Bilbao che ha risollevato le sorti della città basca in grave depressione economica negli anni ’90. Noi siamo ancora così, fortemente immobili, ancorati ad un passato che non siamo neanche in grado di valorizzare e di salvaguardare. E quanta ipocrisia c’é, da parte di tanti, nel voler proclamare ad ogni pié sospinto il tanto sostenuto “amo la mia terra” quando non siamo neanche capaci di trattenere i giovani che dovrebbero essere il futuro di questa regione. Il discorso é lungo, e qualsiasi commento si scontra con l’infruttuosità delle azioni politiche e non, nella città in cui ho sempre vissuto e che mi sarebbe piaciuto veder fiorire e splendere di luce propria.
Sa Sardigna est essindho totu unu museo archeológicu, de cosas e de gente (e pentzaus a is ‘istúdios’ de su passau chi faent pentzare prus a is “topi di biblioteca” ma po su benidore… vattelappesca, no s’ischit a inue iscúdere sa conca, si no est tabú o contighedhu de segamigasu personale o pagu prus).
Presoneris de su passau?
Tanti po arregodare calecunu númene, Giommaria Angioy (unu Carneade de sa ‘festa nazionale’ de oe) est acabbau e mortu in esíliu e Antoni Gramsci in presone po unu benidore nou e prus umanu de is Sardos , e no solu, e chie, chentza responsabbilidade de su passau cun totu chi pesat, e comente!, in su passau si dhue impresonat iss’etotu si podet cussiderare presoneri, ca libbertade e responsabbilidade distinghet ancora oe e sèmpere sa cunditzione umana, po chie bolet custa.
Una gente incarrerada a prànghere, pedire e pregare, a ghia ‘politica’ digna, est ancora apustis de séculos pregandho che santos is barones a “moderare sa tirannia” , chentza ischire mancu ite bolet e ite est naendho o pranghendho o cantandho.
De aintru de is presones no est chi si biat meda de s’orizonte chi puru dhu’est a 360 grados e de su sole chi torrat a essire dónnia die.