Non so come andrà a finire l’udienza del riesame sul sequestro dei quintali di Fiore Sardo disposto dalla magistratura, ma la questione rimarrà comunque in campo, qualunque sarà la decisione del tribunale, perché è una questione che va oltre i quintali, riguarda l’idea di sviluppo.
Prima di tutto i fatti.
Qui trovate il link per il disciplinare del Fiore Sardo.
Piaccia o non piaccia, il Fiore Sardo è un formaggio a bocca di mungitura, si fa con il latte “intero, fresco, crudo di pecora”.
È un formaggio artigianale che rivela al sapore l’abilità di chi lo fa, rivela la qualità del latte, dei pascoli e degli animali.
È il formaggio della pastorizia preindustriale, senza celle frigo, che doveva trasformare ogni giorno il latte munto.
Attualmente in tutte le università del mondo si insegna che il mondo globalizzato apprezza, ed è disposto a pagare il giusto prezzo, tutto ciò che è originale e di qualità. Le Dop nascono, in qualche modo, per garantire il processo della qualità e tutelare la diversità.
Se un prodotto non è industriale, e il Fiore Sardo non lo è, chi lo compra lo fa proprio per la sua originalità e naturalità certificata.
Detto questo, non c’è niente a questo mondo che non possa essere replicato industrialmente, però è contraddittorio da un lato costruire un turismo fondato sulle specialità alimentari di qualità, sulle diversità ambientali, sui prodotti di nicchia ad alto valore aggiunto ecc. ecc., e poi ritenere una questione di lana caprina il primo grande scontro tra produzione artigianale e produzione seriale.
Sappiamo benissimo tutti che dietro questa questione c’è l’incapacità del mondo pastorale di essere disciplinato, di credere nella collaborazione, di bandire l’invidia dagli ovili, di far funzionare bene e efficacemente i consorzi di tutela, di trovare accordi e composizioni nobili piuttosto che guerre fratricide.
Lo sappiamo bene e ne soffriamo.
Ma questo non può portare oggi a dire che un prodotto tutelato per essere artigianale può essere industrialmente replicato. Trasformare il proprio latte in azienda è diverso che mischiarlo con quello di mille altri, termizzarlo (magari dopo averlo refrigerato) e inserirlo in una filiera produttiva nella quale l’unico aspetto del disciplinare rispettato nel processo produttivo resterebbe la percentuale di caglio e poco più.
A me pare che nel mondo delle campagne sia, purtroppo, ancora prevalente la linea della rozza violenza come forma di espressione del dissenso, ma mi pare anche che qualcosa di nuovo si stia muovendo, che ci sia più competenza e più disponibilità a usare la ragione e il diritto per far valere le proprie ragioni. Viceversa, nel mondo delle industrie casearie, al netto di imprenditori e presidenti di Consorzio intelligenti che hanno insegnato a diversificare i prodotti, a costruire gli strumenti finanziari utili ai prodotti e ai mercati e a affidare alle parole e non alle parolacce le proprie ragioni, il mondo, soprattutto dei privati, appare ancora troppo speculativo, troppo oligarchico, troppo egoista, troppo orientato a massimizzare i profitti a ogni costo.
Tutti i ricchi vorrebbero esserlo per sempre, ma la storia lo impedisce.
La storia rivela sempre che chi è stato capace in un determinato momento, può non esserlo in un altro.
Le aziende hanno cicli vitali più brevi di quelli delle piante e talvolta più lunghi di quelli degli animali. Ma finiscono comunque.
A me pare che l’industria del formaggio fondata sul ricatto degli anticipi del latte sia finita o stia finendo, e con essa anche la prepotenza di mercato.
La battaglia del Fiore Sardo, che è una piccola battaglia, è una battaglia per la qualità in primo luogo, ma anche per la libertà. Ricordiamocelo.
il problema è che chi dovrebbe difendere e spalleggiare la genuinità e l’aderenza alla tradizione millenaria di produzione di questo che è un vero e proprio”unicum” (cioè il consorzio di tutela) è un industriale; con tutto il rispetto per la buona fede delle persone mi pare un paradosso enorme
Nota stampa: Il Fiore Sardo dei pastori, non degli industriali
L’annosa questione sul rispetto del disciplinare di produzione del Fiore Sardo, una delle tre Dop sarde,
relativamente all’uso di latte termizzato nella caseificazione, pare esser giunta ad una prima, ma importante
fase.
Il sequestro da parte della Procura di Cagliari di circa 400 tonnellate di formaggio Fiore Sardo, principalmente
prodotto da caseifici industriali, dà un primo segnale che conferma ciò che noi pastori, produttori artigianali
e custodi di una millenaria arte casearia, andiamo dicendo da anni: il fiore sardo per rispettare il primo e
fondamentale parametro del latte crudo (coagulazione a temperatura di 34/36 gradi) non può essere
prodotto dall’industria.
Ci lascia basiti la giustificazione, che apprendiamo dalle cronache, portata in procura, come rimedio peggiore
del male, che il problema derivi dalla fase della scottatura nella quale il formaggio verrebbe immerso nella
scotta (residuo caldo della produzione della ricotta) sino a tre ore. Nessun pastore ha mai eseguito la
scottatura in immersione della forma nella scotta bollente per un tempo così lungo. Le forme appena fatte,
al fine di renderne liscio il contorno e di indurire la crosta, vengono asperse con la scotta (o acqua calda)
attraverso una caraffa o altro recipiente che possa essere usato per il pescaggio del liquido residuo in caldaia
eseguendo una sorta di lavaggio della forma (si veda la foto allegata).
Lo abbiamo affermato in più occasioni, anche a livello istituzionale e ora finalmente pare aprirsi uno spiraglio
giudiziale che ripaghi i nostri sforzi nel resistere a produrre il nostro formaggio secondo i dettami che i nostri
padri e i nostri nonni ci hanno tramandato e come il disciplinare della Dop impone.
Siamo sempre più convinti, pur nel rispetto del ruolo e dei tempi della magistratura, che sia giunto il tempo
affinché il formaggio dei pastori per antonomasia, torni ad essere prodotto esclusivamente nei caseifici
aziendali ospitati all’interno dei nostri ovili.
Ed giunto il tempo che anche la Regione Sardegna lo riconosca, per tutelare e difendere il più importante
presidio lattiero caseario sardo, simbolo culturale e storico.
Ora, circa il 70% della produzione e la conseguente tutela della Dop è in capo all’industria, un paradosso: il
formaggio dei pastori è diventato degli industriali.
Confidiamo che la magistratura, supportata dalla scienza, possa finalmente porre un punto fermo sulla
questione latte crudo, restituendo a noi pastori e a tutti i sardi ciò che è sempre stato nostro.
IL FIORE SARDO È DEI PASTORI
I PRODUTTORI DEL FIORE SARDO ARTIGIANALE
Bene meda su chi as iscritu oe, Angelo!
In Sardigna agatamus unu muntone de ingannu a nos cussiderare zente, normales, e fossis tenimus unu ‘orgoglio’ de cibudha, a “pompa bódia”, barrosia, balentesa, e menzus nos imbriagant e imbriagamus chi semus “speciali”.
mentre invece ad Asciano, in Toscana, dove si tiene un concorso annuale fra produttori di formaggi artigianali, per due anni di seguito, fra 160 (centosessanta) formaggi pecorini a latte crudo, si è classificato primo un fiore sardo prodotto nel minicaseificio di un ovile di un pastore barbaricino.
lui è un pastore, non un industriale;
è colto anche se non ha la terza media;
è intelligente anche se ha sempre vissuto nella campagna;
diversifica la produzione anche se non ha frequentato master di economia;
possiede un’evidente abilità professionale e competenza anche senza aver fatto studi di casaro;
ha molta capacità di ascoltare e parla poco, ma si fa capire;
la fatica non lo spaventa, ma soprattutto ama il suo lavoro e la campagna come se stesso.
è un sardo normale
il fiore sardo prodotto negli ovili è ottimo per chi è intollerante al lattosio
quello prodotto nelle industrie ha la genuinità della chioma di berlusconi o delle forme di alba parietti
Storia singolare, sinteticamente raccontata, ci vorrebbero pagine di analisi storica e culturale, ma qui è sufficiente il richiamo all’invidia, propria dell’essere umano, ma ancor piu dell’essere sardo. Assonanze immediate con il storia del culurgione ogliastrino IGP, nel cui disciplinare appunto la Camera di Commerco di Nuoro, ha inserito la fecola di patate tra le materie prime, e non ha in nessun modo disciplinato la provenienza delle stesse…. morale delle favola in quel caso l’unico elemento tipico (geograficamente protetto) è il luogo e, forse, la spiga… ma a giudicare quel che vende il principale produttore e promotore del comitato (e Consigliere di amministrazione della Camera di Commercio di Nuoro) nei discount isolani, anche quella è soggettivamente valutabile.
Trovo questi marchi, cosi strutturati ad inseguire la quantità, un ossimoro di se stessi. La classica flessibilità ed interpretabilità della norma…. non all’italiana (vedi Trentino e Veneto) proprio alla Sarda! Il piu forte detta la linea!
Proteggiamo le nostre produzioni autoctone e il mondo della pastorizia che sono basi portanti del nostro sistema economico