Tra i tanti report pubblicati ogni anno sulle tendenze della popolazione mondiale, vi è il World Happiness Report che vorrebbe misurare la felicità dei cittadini nei diversi Stati.
La classifica dei primi venti posti è la seguente:
1. Finlandia
2. Danimarca
3. Islanda
4. Svizzera
5. Paesi Bassi
6. Lussemburgo
7. Svezia
8. Norvegia
9. Israele
10. Nuova Zelanda
11. Austria
12. Australia
13. Irlanda
14. Germania
15. Canada
16. Stati Uniti
17. Regno Unito
18. Repubblica Ceca
19. Belgio
20. Francia
Non colpisce certamente che tra i più felici si trovino i Paesi nordici, ma stupisce il nono posto di Israele, un Paese eternamente in guerra, dove è difficile poter dire di sentirsi al sicuro e di essere certi di essere nel giusto con i Palestinesi. Vi è da riflettere sulla possibilità della felicità civile anche in contesti difficilissimi.
Tra i parametri con cui la felicità è stata misurata vi sono anche 1) la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche; 2) la fiducia sociale verso la comunità di appartenenza; 3) il benessere dei cittadini; 4) il sostegno sociale, 5) la libertà di poter prendere decisioni, 6) la generosità della comunità.
Sarei curioso di una medesima analisi compiuta sulla società sarda, una società che non investe in educazione, che non ha fiducia nelle istituzioni, che non apprezza le regole chiare e l’ordine definito, che applica minuziosamente il conflitto sociale, personale e di ceto, che si sente priva di sostegno sociale anche quando lo riceve, che rivendica la libertà delle decisioni ma non riesce mai a prenderne una di vantaggio per tutti e non solo per alcuni, che conosce la grande generosità della comunità e la spreca riservandola solo alle emergenze.
L’indagine sull’infelicità sarda potrebbe risultare utile per ritrovare la strada della responsabilità e abbandonare quella facile facile della rivendicazione, ma serve cultura, educazione, impegno, tempo, dedizione e molto, moltissimo amore, che in Sardegna è una parola avvertita come cacofonica.
Scriverò sulla Corsica e sull’omicidio di Stato. Ma ci sto pensando da giorni, per dire con precisione ciò che penso.
Ha ragione, chiedo scusa per l’off topic e per l’intento polemico. È che avrei voluto trovare un suo commento su quello che è accaduto in Corsica in queste ultime settimane;
Più per le conseguenze che sembrerebbero scaturire, che per il fattaccio in se della vicenda Colonna.
Mi conceda il fallo di frustrazione e, se le aperture di Macron non saranno solo fuffa préélectorale, mi promette una sua analisi?
Cordialmente
Luigi
Egregio Luigi, non la capisco.
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Buona felicità a lei…
Sa “felicità” est cosa chi no si narat in sardu. Podet èssere unu sinnale chi iscóbiat carchi cosa.
In sardu namus, prus ‘modestamente’, cuntentesa (e si tiat pòdere medire cun sa matessi mesura de World Happiness Report).
Sa cuntentesa de nois Sardos? (mi bi ponzo fintzas deo, e gai no so critichendhe sos àteros… e, de su restu, si no nos abbaidamus in s’isprigu, o a carrones, ite tenimus de nàrrere a sos àteros?)
Sa cuntentesa de nois Sardos mi paret sa cuntentesa de sos pisedhos prantinosos: sempre pranghindhe, pedindhe, preghendhe (no a Deus ma a sos Barones! Como bi est fintzas sa leze regionale: «Inno regionale» li narat, artículu 2 de sa leze 28 de abrile 2018), sempre murrunzendhe e ispetendhe a Campacavallo.
A candho, e za nos capitat, bidindhe carchi cosighedha curiosa nos ponimus fintzas a ríere, un’scracalliada de risu.
E poi torra a prànghere e benemindhe!
A bortas, candho perdimus sa passiéntzia (o gai paret ca noche pigant sos becos a conca, gai a aconcadas, o acucadas o paret chi semus seghendhe sas letrangas) e no connoschimus isperàntzia, nos corpamus fintzas su tzapu a pes, paret chi si tenimus de “tzapare” no ischimus mancu inue e ne pro seminare o prantare e contivizare ite. E sighimus a prànghere.
Ma, dimandha: E cun custu pessamus chi no amus a mòrrere mai?
A propósitu de vida e de morte unu indevinzu de sos Sardos (logudoresos, ca semus prus ‘díligos’…) dimandhat:
– «Cale est cudha cosa chi naschit e morit cantendhe?»
– Sa tródhia!!!
Su maleducadu seguru rispondet gai (a pessare za est solu pessamentu).
Invetze sos Sardos naschimus e morimus pranghindhe. E no bi at bisonzu de inzertare.
Tiaimus però comintzare a pessare bene de nois etotu e no tiat èssere solu pessamentu.
Indagare su quello che si sa gia?
Bravo Maninchedda prof. Paolo. In Sardegna, con rare eccezioni, si sta smarrendo anche il senso di comunità. A me sconvolgono gli abbandoni scolastici. E l’afasia di destini, sul domani dell’isola. Quo vadis Sardinia? A cercare un cerotto. Non a risolvere il problema. Giacomo Mameli
Per curiosità, l’Italia in che posizione si trova?