Non era solo la figlia di Enzo; era un tipo di donna tutt’altro che infrequente ma per lo più ignorato.
Sarà un caso, ma chi resiste alla violenza di Stato in genere è donna (si pensi alla mamma del povero Regeni o alla sorella di Cucchi o alla figlia di Borsellino): o moglie o madre o figlia o sorella.
Gli uomini sono più rari: o muoiono prima o precipitano nell’abisso della rassegnazione alla legge del più forte.
Gli uomini percepiscono l’immane forza dello Stato, le donne l’insopportabile ingiustizia.
L’uomo può divenire facilmente un fuorilegge; la donna una resistente.
L’unico uomo politico che avrebbe potutto pronunciare il suo elogio funebre era Marco Pannella. E il Pannella giovane, vero incursore etico, dissacratore delle ipocrisie di Stato, ci manca, molto. Perché ci mancano quei liberali-azionisti che insegnavano che la vita è sempre e solo un fatto individuale e che il plurale, necessario e imprescindibile, va costruito senza creare poteri che distruggano gli individui. Oggi, gli uomini più potenti sono uomini di apparato, rappresentano i plurali egemoni.
Tra i plurali prepotenti, arroganti fino alla sfida, incontenibili e sfacciatamente arroccati nei loro privilegi di impunità c’è la magistratura italiana.
Silvia Tortora ha avuto un grandissimo merito: non si è accontentata dell’assoluzione e riabilitazione del padre. Ha continuato a porre il problema dell’esistenza impunita e immutata del potere che lo ha condotto alla malattia e alla morte. La magistratura di oggi conserva quella impunità che ieri le consentì di costruire a tavolino un processo a tesi, prontamente sostenuto da pentiti improbabili, che portò all’arresto spettacolare del presentatore.
Oggi la magistratura continua a usare gli arresti con la stessa volgare disinvoltura.
Oggi il magistrato che sbaglia (ce n’è uno in Sardegna, anzi, almeno due, che collezionano errori su errori ma sono sempre ai loro posti) non patisce alcuna censura.
Oggi, come è stato scritto, un Pm con un ottimo rapporto con un Gip è in grado di distruggere la vita di un innocente per decenni.
Oggi, ci sono giudici in Sardegna che hanno rinviato a giudizio in assenza di reato, come attestato successivamente dal tribunale (assoluzione non per non aver commesso il fatto, non perché il reato non sussiste, ma per mancanza del fatto in sé) che continuano a fare il loro mestiere serviti e riveriti. E nessuno batte ciglio.
Il merito di Silvia Tortora è avere tenuto il punto: il potere che uccise il padre è rimasto intonso, non è stato realmente intaccato, continua non pagare per i suoi errori, non risponde delle sue prepotenze, del suo sfacciato familismo e clientelismo.
Gli americani sanno che un’istituzione è sempre l’ombra lunga di una persona. Gli italiani, ontologicamente ipocriti, fanno finta di non vedere le persone, con le loro miserie, il loro narcisismo e sadismo, dietro il potere delle istituzioni e così garantiscono al loro agire l’irresponsabilità e l’impunità riconosciuta ai poteri istituzionali (chi penserebbe mai di punire il Parlamento? Nessuno. Ecco, la magistratura pretende lo stesso trattamento).
Ho ammirato Silvia Tortora perché non si è nutrita della riabilitazione del padre, non si è saziata del suo destino personale, ha continuato a lottare per denunciare che il mostro che li aveva triturati era ed è ancora a piede libero. Amo sconfinatamente chi resiste e combatto con tutto il cuore il bullismo tragico dei colletti bianchi e ogni giorno mi ascolto due canzoni: il Giudice e il Gorilla di De Andrè, aiutano a non avere paura. Insieme a Rapput sono permanentemente in onda nella mia macchina.
Complimenti, ottima penna. Scrivi sempre inconfutabili verità.
La sua vita è stata stravolta. Dal potere? Da un falso testimone.
La sua più bella testimonianza? Lavorare.
Complimenti Paolo…
stamattina Gramellini, in chiusura d’articolo, a proposito dei pentiti e dei magistrati che “montarono” il caso Tortora, si domandava come costoro avessero dormito ieri notte…mi rispondevo che, ahimè, a questi qua il sonno non glielo leva nulla e nessuno perché sono privi di coscienza e, peggio ancora, di anima…
Personalmente, includo assieme alla donne citate (e sono d’accordo sulla distinzione di genere a proposito del coraggio), anche Felicia madre di Peppino Impastato: non solo non si arrese mai alla verità comoda dello Stato, ma non si arrese neppure alla mafia di Cinisi e della Sicilia intera.
ho un lucido ricordo della vicenda Tortora.
nella superficialità dell’adolescente, seguivo la storia sulle pagine di un settimanale che costruiva puntata per puntata un puzzle della sua figura: quella di un personaggio abbietto e colluso con la delinquenza organizzata.
la mia convinzione tanto superficiale quanto intollerante fu che Tortora non poteva non essere una grande carogna e un gran figlio di buona donna. tanto più che mi era antipatico.
poi la storia ha rivelato tutt’altra verità.
dico questo per dire che non c’è potere più perverso e temibile che quello giudiziario unito a quello dell’informazione.
la rovina di un’innocente è finire in un’inchiesta giudiziaria e contemporaneamente sulle pagine dei giornali.
anche la stampa ha un potere sottile, a volte invisibile, tremendo, facilmente gestibile con la tattica del dire-non dire o del far percepire: il potere di rovinare una vita
Podimus irballare totugantos, ómines e féminas (fintzas candho in d-unu e d-una bi at ómine, bi at fémina!).
Ma ndhe semus istufos, arróscius, orróschios, bómbidos de políticas e guvernos e poderes mascrinos, de mascros (custos in su limbazu de sos pastores furriadu a italianu si narant «montoni», «stalloni») e si cumprendhet chi, segundhu pro ite, prus de cherbedhos, coro e cusciéntzia est chistione de… callonis a ‘civiltade’ mascrina.
A donzunu sa ‘virtude’ sua; ma, fintzas si bi at féminas chi leant a “modellu” sos ómines, deo no creo chi aimus tentu totu sos disastros de sa ‘civiltade’ mascrina e mundhu prenu a istibbu de armamentos, chi mancu a su dimóniu tiant bènnere a conca, e de mortos de fàmine e de gherras si a guvernare bi aiat àpidu féminas!
Bastat cun custa ‘civilidade’ mascrina, assurda, disumana, distrutiva, de domíniu, de morte!