Ciò che è successo a Mamoiada ha qualcosa di incomprensibile e ad un tempo di educativo.
L’unico paese della Sardegna nel quale aumentano popolazione e ricchezza grazie allo sviluppo locale, ha fatto un bando di gara concepito in modo tale che la gestione dei musei del paese è passata da una cooperativa locale, che aveva contribuito non poco al successo del paese, a un’Associazione Temporanea di Imprese composta da una coop toscana e una calabrese. La coop dei fratelli Paffi, che era molto brava anche nel reperire risorse con progetti europei e nell’animazione del territorio, non ha partecipato al bando perché lo ha ritenuto antieconomico.
Il primo punto su cui riflettere è il seguente: quando una comunità si divide sulle regole, si espone sempre al rischio della regressione.
Se nel mondo delle cooperative è sempre serpeggiato il falso valore per il quale, vinto una volta l’appalto, si pretende di averlo vinto per sempre, è anche vero che nelle amministrazioni locali sarde non vi è spesso la cultura, molto diffusa, invece, in Emilia Romagna, di fare i bandi calibrandoli sui risultati positivi conseguiti e non su modelli astratti o ideologici.
Veniamo al bando per i musei del Comune di Mamoiada e al capitolato.
Non è che non si sia tentato di valorizzare le esperienze e le competenze, diversamente nei criteri di valutazione non si sarebbe attribuito all’offerta tecnica l’80% del punteggio attribuibile e a quella economica solo il 20%.
Non è stato, insomma, un volgare bando al massimo ribasso.
È nel capitolato che si esprime una visione a mio avviso errata del rapporto tra il Comune e il gestore dei Musei.
Posto che il costo del personale è pagato dal contributo regionale e le manutenzioni, le utenze e la sorveglianza dal Comune, la decisione politica da prendere è a chi vanno i ricavi della vendita dei biglietti. La scelta, immagino dell’amministrazione di Mamoiada, è stata riservare il 70% dei ricavi dei biglietti al Comune.
Questo è, a mio avviso, l’errore.
I ricavi dei biglietti devono rimanere all’ente che li genera, perché è proprio l’abilità del gestore e non la sola esistenza del museo a generare quel flusso. Semmai, man mano che si rileva che la gestione diventa più efficiente, si deve trasferire su di essa quota parte dei costi coperti dal Comune, in modo da liberare risorse pubbliche per altri legittimi interessi pubblici.
Insomma, bisogna entrare nell’ordine di idee che un museo non è un locale commerciale affidato da un padrone a un gestore; è un’istituzione culturale che cerca chi la interpreti e la renda vitale.
Non bisogna guardare con sospetto un gestore se marginalizza dalla gestione, anzi!
I veri manager culturali generano ricchezza, realizzano utili e non devono essere per questo né invidiati né sospettati di alcunché. L’importanza è che la ricchezza prodotta dal Museo sia una parte della ricchezza prodotta per la comunità, concorra cioè a quel clima culturale e a quella vivacità economica che è in grado di restituire l’ottimismo per il futuro di cui si ha immensamente bisogno.
C’è da riflettere su quel che è successo.
C’è da fermarsi un attimo.
Non per tutelare Tizio o Caio, ma per costruire un modello di convivenza civile e per non intaccare un’esperienza, quella di Mamoiada, che tutti abbiamo osservato con grandissima speranza.
Totalmente d’accordo.
Sottoscrivo pienamente tutto il testo. Specialmente la seconda metà, nella quale l’analisi diventa acuta e stringente. Non sono certamente una paladina del liberismo e del mercato come ‘faro illuminante’ nelle scelte economiche, ma l’ente Comune, che dovrebbe essere portatore vero degli interessi e del bene delle comunità locali, si dimostra per l’ennesima volta poco lungimirante (direi anzi miope) e privo di buon senso: è davvero irragionevole imporre la regola della ripartizione 70% (Comune) e 30% (gestore) dei ricavi conseguiti. Razionale è invece il suggerimento di un passaggio graduale e controllato dei costi (o parte di essi) dal Comune al gestore. La ‘politica’ ha perso un’occasione preziosa gettando alle ortiche l’esperienza di Mamoiada. Chissà perchè…non ci stupiamo più …
Mario Dessolis .Mamoiada
Condivido l’ attenta analisi se pur sintetica espressa da te .
L’ art.1 del bando esplicita i sani principi che dovranno essere seguiti in simili circostanze ( partecipazione,consultazione degli operatori economici, trasparenza, pubblicità, ecc) ; mi chiedo se di fatto questi principi siano stati applicati nella gestione del nuovo bando.
L’ art.2 parla di “criteri ” che riporto testualmente in parte “il servizio sarà aggiudicato tramite procedura negoziata “; quesito- più politico che legale- : negoziata con chi , quando e in che maniera ?
Quanto vale in termini economici e finanziari la ricchezza culturale e di immagine realizzata dalla Coop.va Viseras per la comunità locale nel corso della loro gestione ventennale del muso mamoiadino ?
Queste e altre domande potranno essere presentate da quanti tengono a cuore del sorti del nostro territorio e della popolazione in esso presente.
Non conosco minimamente l’appalto e le sue carte. Mi baso solo sull’articolo di Paolo. Quindi è tutto approfondibile.
Ma non capisco come possa un appalto, ritenuto antieconomico dalla concorrente che aveva già la gestione, essere considerato invece appetibile per chi subentra, e quindi economicamente sostenibile.
A fronte di tanto, l’Amministrazione può ulteriormente accertare la permanenza della sostenibilità, e se del caso riponderare.
Caro Paolo condivido. Il tema è urgente per tutto il sistema regionale delle tante gestioni in balia di spinte anche legittime che però non tengono conto degli investimenti che i bravi gestori effettuano sia in termini economici che in termini di capitale relazionale. Un corollario il periodo di tempo degli affidamenti. Sono testimone di gare semestrali (!) da anni anche nel capoluogo che non hanno alcuna ragion d’essere se non di azzerare il proficuo lavoro di tessitura anche con il mecenatismo che ragiona a medio e lungo termine. Ci sono strumenti amministrativi che tutto questo lo consentono anche nelle piccole realtà (e Mamoiada nel nostro contesto non è affatto piccola) ma occorre un dialogo tra il sistema delle autonomie e operatori culturali che non sia asimmetrico, ma di confronto costruttivo e di leale partenariato. Altrimenti epiloghi come questo saranno replicati in tutta la nostra isola. È solo questione di tempo. Purtroppo.
Analisi ineccepibile che estenderei. Mi sembra che ci sia un “filo rosso” che accomuna le vicissitudini dei vari musei locali, dal MAN di Nuoro https://www.lanuovasardegna.it/nuoro/cronaca/2021/12/29/news/man-entro-gennaio-il-nuovo-direttore-1.41077447 alla Stazione dell’Arte di Ulassai e altri si potrebbero citare. Quando qualcosa va bene, emerge dal limitato ambito locale e raggiunge livelli nazionali, scatta immediata la sindrome da autodistruzione che spinge a riportare tutto verso il basso. Invece di perseguire la strada di un miglioramento continuo, facendo tesoro dei successi conseguiti, in uno strano miscuglio tra insipienza e autolesionismo, che deflagra quando la politica più retrograda si lega ad una visione amministrativa cieca, si distrugge ciò che si è costruito. Ma perchè ciò che cresce e si eleva sfugge al “controllo”, richiede competenze, conoscenze diffuse, acquisisce visibilità autonoma, diventa centro di interesse(i) alternativo(i), generando invidie, laddove dovrebbe essere invece visto come un punto di forza e di opportunità per far crescere ciò che gli sta intorno, la comunità intera. E’ l’incapacità di distinguere i ruoli, di comprendere che affidare ad una buona gestione, dotata di ampia autonomia e con obiettivi chiari di risultato, una struttura museale è un’occasione di crescita per lo stesso ente locale. Chi corre troppo e va avanti va riacchiappato e riportato indietro, al passo degli altri che ansimano dietro alle sue spalle.
Tutto giusto! Ma anche gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché il pagamento di tutte le utenze (H2o, Lux, Heating) deve essere a carico del gestore, e non deve gravare sulle casse comunali.
Chi meglio del prof. conosce la macchina burocratica degli enti locali? Da ascoltare!
Con la legge bassanini, a parte l’indirizzo politico dell’Amministratore, la parte burocratica,
è demandata alla struttura tecnico- amministrativa, titolata per disciplinare gli appalti . Spesso i comuni piccoli non sono dotati di un apparato che possa avere competenze tecnico- giuridiche approfondite, se non è il segretario comunale, il quale più delle volte è ingaggiato a scavalca in più comuni.
Forse perché a tutt’altre faccende affaccendati, non hanno il tempo di rivedere e correggere un capitolato che poteva andare bene per le prime esperienze.
Valida l’idea che la vendita dei biglietti venga destinata al gestore, che avrà più stimoli a condurre con la massima efficienza il sito, ed eventualmente armare il generatore di fantasia per programmare attività culturali parallele.
Analisi attenta ed obiettiva
Condivido pienamente il tuo ragionamento caro Paolo.