Oggi l’articolo più interessante è un’intervista, purtroppo sulla Nuova Sardegna, di Giacomo Mameli a Fabrizio Barca, economista ed ex ministro del governo Monti, molto noto in Sardegna per molti enunciati non seguiti da fatti.
Lo scopo è presentare l’ultimo suo libro, Disuguaglianze Conflitto Sviluppo. La Sinistra e il partito che non c’è, edito da Donzelli. Ed è proprio la tesi centrale del libro che, a mio avviso, è sbagliata, dannosa e pessima, tipicamente acriticamente inglese. «Le soluzioni [alle disuguaglianze e ai drammi sociali] si trovano col conflitto acceso».
Questa è la tesi del capitalismo e questa è la tesi che sta distruggendo il mondo.
Bisogna cominciare a ripetere a voce alta che il conflitto genera solo il conflitto, non le soluzioni.
Bisogna insegnare che il meglio della storia non viene dal conflitto ma dalla collaborazione. Se nelle scuole si continua a insegnare che la qualità nasce dalla competizione, non ci si deve poi lamentare se il mondo si inferocisce sempre più.
È un’idea inglese che nasce in età elisabettiana, ma forse molto prima, ai tempi di Enrico II Plantageneto, mandante dell’omicidio di Thomas Becket. In sostanza, gli inglesi capirono che l’unità morale di un popolo è il vero fondamento di qualsiasi potere. O una società è tenuta insieme da valori e convinzioni comuni o non è governabile da alcun potere. Capirono che l’unità morale europea era un’unità religiosa e, più precisamente, cattolica. Lavorarono a sostituire i valori religiosi con i valori nazionali: la monarchia, i costumi, gli interessi nazionali, il successo ottenuto con la lotta regolata. Cementarono il tutto nella lotta: contro gli Spagnoli, contro gli Olandesi, contro i Francesi, e infine contro Hitler. Ne emerse un mix fatto di individualismo, utilitarismo, nazionalismo, disciplina militare, distaccata infelicità.
Dobbiamo molto in termini di libertà a questa gente, ma non quanto dicono loro.
Ma copiarli acriticamente è sbagliato. Si insegna solo a sgomitare con legittimità, a pretendere di vincere, a cercare di vincere sempre e comunque, a studiare per eccellere e non per capire e dare.
La storia insegna che il meglio dell’umanità nasce dalla collaborazione, dal sacrificio gratuito, dall’interesse per gli altri. Le città sono nate per collaborazione. La libertà è nata dalla collaborazione contro la sopraffazione. Il conflitto non risolve né mai ha risolto nulla; la cultura della fratellanza ha a che fare radicalmente con la vita e col futuro del mondo, non quella del conflitto. L’unico conflitto legittimo è quello delle interpretazioni; l’unica competizione produttiva è quella per la verità che non è un fatto evidente per noi uomini. La fatica della comprensione è la vera lotta cui siamo chiamati.
Infine, in chiusura dell’intervista, si allineano Berlinguer e Gramsci come eroi dimenticati della Sinistra.
Mettiamo bene in ordine le cose.
I due sono imparagonabili.
Berlinguer è nipote diretto di Togliatti e Togliatti e Gramsci hanno qualcosa da chiarirsi nell’aldilà.
Berlinguer sollevò la questione morale come questione degli altri, non come questione propria e invece anche il Pci aveva una sua questione morale irrisolta.
Berlinguer ebbe un grande merito politico: capì che il terrorismo era nato in Italia a Destra e che se il Pci non avesse tenuto un’identità parlamentarista e costituzionalista netta e autentica e si fosse fatto irretire dalla rezione violenta alla violenza della Destra, l’Italia sarebbe finita in una guerra civile e in un potere dispotico alla greca o alla cilena.
Grande merito.
Ma Berlinguer è anche colui che dal primo giorno sentenziò che su Moro non si doveva trattare, in perfetta linea togliattiana.
Gramsci è altra cosa.
Gramsci aveva capito che la lotta di classe non era il motore della storia.
Gramsci aveva capito che il rapporto tra struttura e sovrastruttura, tra realtà e cultura, non era e non è quello automatico e stupido che avevano presupposto i marxisti ortodossi.
Gramsci aveva capito quanto il Partito, se frainteso alla Stalin, fosse pericoloso per la libertà.
Gramsci libero sarebbe stato un problema per il Pci, come Moro libero lo sarebbe stato per la Dc e il Pci nel 1978. Sono morti entrambi prima di poter aiutare a capire la verità e io, per quel poco che serve, li ricordo spesso con l’affetto con cui si piangono gli uomini che anche per un attimo sono riusciti ad essere giusti.
“Bisogna insegnare che il meglio della storia non viene dal conflitto ma dalla collaborazione.” Mentre leggevo queste sue parole mi è venuto in mente un passo di un libro di Camilleri, in cui l’autore ricorda la genesi del discorso che Alcide De Gasperi pronunciò nel 1946 a Parigi di fronte ai vincitori della seconda guerra mondiale. Di quel passo ciò che porto ad esempio non è la nota frase iniziale del discorso di Parigi, ma il racconto del suo preludio, che Camilleri dice essere una circostanza poco nota, avvenuto la notte precedente, quando Togliatti, Nenni e Sforza si trovarono insieme a De Gasperi per coreggere, modificare soppesare ogni frase del discorso che quest’ultimo sottoponeva al loro giudizio. Il racconto di Camilleri si conclude sottolineando che “In quella stanza, in quel momento, non c’era solo il democristiano De Gasperi ma l’Italia tutta”.
Lo considero un buon esempio di collaborazione in un momento cruciale che ha contribuito al “meglio della storia” per l’Italia.
Fosse sempre stato cosi!
Divenne mainstream l’utilitarismo, che bene legittimava un capitalismo aggressivo, l’imperialismo. La lezione venne ben colta a livello globale. Ma fu contrastata, e con forza, in GB.
Berlinguer difendeva lo Stato, moltitudine di individui. Non piegarsi al ricatto di un gruppo armato, i cui messaggi per la stragrande maggioranza erano deliranti. Mi rendo conto che sono prospettive. Ma per me Berlinguer è una spanna sopra tutti i protagonisti di quel tempo lontano, moralmente e politicamente. Che dire poi se il confronto lo si fa con la miseria attuale?
Cara Marzia, sono d’accordissimo sull’articolazione della cultura inglese, che, come tutte le culture, è articolata e stratificata. resto però dell’idea che l’utilitarismo di Mill, il fraintendimento di Darwin e la pratica dell?Impero abbiano lasciato una traccia non banale. Berlinguer: ho riconosciuto il suo merito nell’aver scelto di non reagire al terrorismo di Destra con la violenza. Sulla questione morale e sull’eurocomunismo, diseento. Su Moro sbaglò clamorosamente, coerentemente con la sua cultura della prevalenza dei sistemi sugli individui. Io sto dalla parte opposta: la difesa degli individui dai sistemi, che sono necessari e obbligati, ma proprio per questo devono essere contenuti.
Temo che l’idea del conflitto come base ( come creatore in alcuni casi) del nostro vivere sociale, religioso e politico non sia inglese, ma abbia radici antichissime.
La cultura inglese ha, in realtà, partorito anche idee politiche e di riassetto sociale comunitarie, con accento sulla parità, uguaglianza, solidarietà. Quello di cui abbiamo bisogno. Non condivido la riduzione del progetto Berlingueriano: la sua posizione al tempo del Soviet era nota da tempo, tanto che temeva per la sua vita quando era in Russia … La sua scelta di non trattare per Moro, con tutto ciò a cui ha portato in termini di perdita per la sua famiglia e per la politica italiana, era dettata dalla necessità di non mostrare cedimenti con le Brigate Rosse, di non legittimarle. Di tutti i coinvolti, Berlinguer è il meno responsabile… Si viveva in anni cupi, si aveva a trattare con persone tetragone al ragionamento. Non agiva da solo Berlinguer, ma in risposta ad una sfida.
Tutto il resto lo approvo in toto. La cooperazione, collaborazione esalta le qualità dell’individuo, il governo di pochi non potrà che portare a decisioni miopi, mirate al soddisfacimento dei bisogni e delle ambizioni di pochi.
Santu Filippo Neri, poite custu «Forse» in d-una propositzione, “potenziale” puru, «dovremmo iniziare a pensare al dopo disastro Solinas.»?
Potzo cumprèndhere s’ironia (chi a noso Sardos praghet a machine, deo creo po no nosi pònnere a prànghere o po no nosi tzacare/crepare de su fele e de s’arrennegu).
Ma a fàere contu de disastros de Sardos e de Sardigna NO depeus cumenciare de custa amministratzione regionale leghista-sardista, ma de atesu meda, de séculos e mescamente de s’iscagiamentu de is Sardos che nie posta in su “termovalorizadore” italianu!!!
Si seus bonos e teneus su coràgiu e sa dignidade e cumprendheus su bisóngiu, su praghere e su dovere de abbadiare prus atesu de su bicu de su nasu!!!
Seus in ritardu de tropu tempus, a machinę, che macos, lah!, a illusiones, a isperàntzia de fuliare e pèrdere in su muntonàrgiu, coltivando sa farta de fide in noso etotu coment’e chi siaus naschios po èssere managos, candho depiaus e depeus cúrrere cun totu is fortzas e capacidades po pentzare e preparare a nosi guvernare!
Poneus puru in contu totu is méngius ómines de sa Sardigna po cultura, professione e política e fintzes onestade (po fàere calecunu númene ia a pentzare a una pariga de sardistas): ma cantos e comente e ite ant fatu po si preparare a guvernare sa Sardigna e is Sardos, sèmpere aintru de sa gàbbia italiana e posta a cumonale de is piratas e piratistas aproviaos, agiudaos e mandhaos che untúrgios, e posta a muntonàrgiu de dónnia arratza de àliga (de cussa umana istichia in is galeras de Sardigna Cayenna a is “polli di sviluppo” e “polli di addestramento militare”)?
E cale preparatzione de sa gioventude sarda ant e aus fatu e seus sighendho a fàere po istare, guvernare e megiorare che gente in logu nostu e no istare che manorbas disocupaos o abbandonaos e iscaminaos ibertandho trebballu miraculàrgiu, ibertandho s’acotzu o fuindho a dónnia parte de su mundhu po si ndhe cricare?
E noso seus ancora a is «Forse» e a s’errisu e ironia o antífrasi e ‘cummédias’ po érriere?!
Di cosa parliamo? Prendete l’elenco degli assessori della regione Sardegna. Chi pensa che qualcuno di loro abbia letto qualcosa più profondo di Salgari perderebbe la scommessa. Caro prof. Maninchedda, giusto dissertare su argomenti generali, ma ancora più giusto affrontare il presente fatto di un presidente che compra la laurea, di una politica decisa a cena, di una dirigenza di compassi e grembiulini. La gente ho bisogno di politici colti, lungimiranti, ma che siano “dei nostri”, concreti e condivisi. Forse dovremmo iniziare a pensare al dopo disastro Solinas.
Bene meda, Paulu, su chi naras tue.
A propósitu de sa «tesi» e motore andhendhe de su capitalimu si podet nàrrere cun totu sa dimustratzione de s’istória chi est «conflitto», peràula ‘màscara’ de àteros –ittos, ma ite àteru si no gherra e ‘economia’ de gherra in totu sos sensos? (salvu cudhu chi li daiat babbu, che àteros babbos e mamas chi bi no b’at númeru a los contare, pro campare sa famíllia e bídere carchi die menzus nessi sos fizos, totu sa vida a gherra a picu e a pala, a tzapu e a tzapita, a matza e a puntzotos, a bàrrios leados a codhu e caminadas longas a pè e barriados puru).
Sa realtade chi connoschimus, in totu su mundhu e donzi bitzolu est difítzile mannu a la cambiare. Ma donunzunu, si cumprendhimus comente semus postos e cuncordados, podimus fàghere meda prus de una cosa pro rimediare.
S’Umanidade pro èssere umanidade tenet bisonzu mannu diritu e dovere grave e urzente de cambiare custa cosa assurda in su sensu de sa collabboratzione/coperatzione comente naras e comente narat Paba Frantziscu cun FRATELLI TUTTI, si su cristianu, mancari animale, no est una massa e màchina biológica chi funzionat a determinismu che animales e àrbures ca mai ai custos si lis podet pedire un’atu de libbertade/responsabbilidade.
Pena: disastros mannos de donzi zenia ambientale e sociale. Pòvera Umanidade!
L’attuale classe politica vive di slogan, manca di concretezza. È incapace di fare progetti a medio e lungo termine ma vive la propria quotidianità inseguendo le emozioni del popolo. Siamo stanchi – giovani e meno giovani – delle frasi vuote e degli slogan politici. Stanchi veramente di quella elite di onorati, onorabili rappresentanti del popolo, che pensa e si muove solo per riconquistare il voto e non pensa di riconquistare le menti e i cuori della gente.
Bisogna assolutamente innescare un nuovo processo che deve investire tutti i settori più importanti: dalla politica – in primis – fino all’informazione, all’istruzione, alla formazione.
E se ciascuno riuscisse a recuperare, a ricoprire il proprio ruolo e a tornare ad essere una vera guida – politica se ci sei batti tre colpi! – allora sarà possibile invertire la tendenza attuale.
Bisogna lottare per quello in cui si crede, Con passione, coraggio e umiltà.
Noi ci siamo.
“ La storia insegna che il meglio dell’umanità nasce dalla collaborazione, dal sacrificio gratuito, dall’interesse per gli altri. Le città sono nate per collaborazione. La libertà è nata dalla collaborazione contro la sopraffazione. Il conflitto non risolve né mai ha risolto nulla; la cultura della fratellanza ha a che fare radicalmente con la vita e col futuro del mondo, non quella del conflitto. L’unico conflitto legittimo è quello delle interpretazioni; l’unica competizione produttiva è quella per la verità che non è un fatto evidente per noi uomini. La fatica della comprensione è la vera lotta cui siamo chiamati”
Ecco, per me questo è il passaggio più importante, quello che conta.
Buon anno.
Grande prof. Analisi ardita ma illuminante. Perfetta la quadratura di Berlinguer , uomo politico di troppe stagioni. Gramsci per il PCI , e quindi per Togliatti era una eresia vagante, perciò lasciato marcire in carcere.