Oggi Francesco Pinna, che non a caso è un giornalista cristiano, scrive sull’Unione Sarda un articolo magistrale sul dott. Incani, il magistrato che ha coordinato l’azione dei Carabinieri che ha portato alla cattura di Mesina. Racconta di un uomo che, fatto il suo dovere, non si è esibito e ha lasciato l’inevitabile conferenza stampa al comandante dei Carabinieri, ha chiuso il fascicolo ed è tornato a casa.
Questi sono i magistrati che ci piacciono, quelli che con il loro contegno dimostrano di considerare sempre persone anche coloro che ritengono colpevoli.
Catturare un uomo non è catturare una preda. C’è sempre qualcosa di triste in una cattura. Ecco perché un contegno misurato e schivo ha il sapore dell’unico volto che la giustizia può assumere in queste circostanze. Altri magistrati, mi sovvengono almeno un paio di nomi lagunari ad alto tasso esibizionistico-pavonesco-seduttivo, avrebbero fatto conferenze stampe spettacolari.
Incani è stato un uomo e per noi, per quel poco che siamo, è importante riconoscerglielo pubblicamente.
Oggi è anche giornata ignobile di raccolta della legna.
Quando cade un albero, si sa, anche chi non osava avvicinarglisi, si fa avanti a tagliare qualche rametto, vuoi come trofeo, vuoi come strumento per scaldare se stesso.
Oggi in molti si cimentano nel facilissimo esercizio retorico della declamazione del valore negativo del profilo di Mesina.
Oggi. Lo fanno oggi.
Per un anno gli hanno dedicato vignette e articoli che ne hanno aumentato il prestigio banditesco.
Ricordo ancora che quando ero consigliere regionale e Mesina entrò nel palazzo del Consiglio vi fu per lui una sorta di festeggiamento al bar.
Passai dritto non per disprezzo, per giustizia. Molti lettori hanno ricordato tutte le scelte sbagliate di Mesina, che non è mai stato dalla parte dei poveri, mai, né dei liberi. Mesina ha passato la vita a iscriversi dalla parte dei forti ad ogni costo. Noi siamo sempre stati dall’altra parte.
Oggi, però, il detenuto anziano Mesina è da abbracciare, non da fustigare. Un abbraccio che non è oblio o superficialità, è compassione umana perché ragionevolmente morirà in carcere. So perfettamente che questo mio atteggiamento è considerato contraddittorio. Mi è stato rinfacciato anche ai tempi di Becciu, il cardinale che tutti omaggiavano (con grande suo compiacimento) quando era in carica, e poi venne abbandonato da tutti appena risultò indagato alla maniera inquisitoria vaticana. Io lo criticai moltissimo quando faceva il cardinalone tronfio, ma ho sempre avuto un dubbio sui metodi spicci della sua liquidazione. Sono fatto così: mi sembra che negli occhi dei colpiti rifulga una luce più preziosa dell’umanità.
Ho imparato da alcuni preti (quelli veri, quei pochi che hanno capito il carattere apparente della realtà) che l’unico modo di stare di fronte a un uomo che ha fatto del male è tendergli la mano perché il male non lo afferri definitivamente. Oggi, grazie a uno di questi preti, Vincenzo Andraous ha potuto scrivere: Autobiografia di un assassino. Dal buio alla rinascita.
Invece, nella Sardegna vigliaccona (la vigliacheria e l’invidia sono due tratti ignobili dell’antropologia isolana) oggi in tanti a scrivere e dire ogni cosa possibile di Mesina.
Ciò che non veniva ricordato del Mesina latitante glorioso, viene oggi distribuito a giumelle del Mesina caduto.
Uno spettacolo indegno ma anch’esso umano. Siamo fatti così: un impasto inestricabile di virtù e vizio. Chi aveva paura di dire la verità prima, quando la si poteva dire con giustizia e libertà e qualche rischio, la ripete solo oggi con ferocia.
Forse ha ragione una lettrice che ha messo insieme Mesina e Cossiga, due figure completamente diverse e incomparabili, ma entrambe difficili da metabolizzare per la Sardegna. Questo il suo commento: «Mesina ha compiuto un crimine che poco ha a che fare con il mito del balente. È un vecchio che vuole soldi facili. Non possiamo scusarlo. Neanche allontanarlo. Perché è parte della nostra nazione. Perché è stato generato da povertà, ingiustizia, dolore. Quando un altro sardo abbandonato morì e fu sepolto per suo volere a SS sentii la stessa compassione. Era Cossiga. Molte cose erano e sono rimaste incomprensibili. Ma era uno di noi».
Prof, se pur in ritardo leggo il suo ultimo “pezzo” sulla cattura di Mesina. Mi ha colpito il preambolo citando l’articolo di Francesco Pinna, elogiando il comportamento del magistrato dott. Incanti che, finito il blitz invece di concedersi ai media, ha preferito lasciare ad altri le luci della ribalta, cosciente di aver fatto solamente il suo dovere e di aver restituito dignità a quel pezzo di stato che in tanti, troppi frangenti, non ha brillato di certo per professionalità
e moralità.
E mi riporta a quel capolavoro letterario e cinematografico di Leonardo Sciascia, ne Il giorno della civetta, quando mette in bocca a don Vincenzo il capo mafia, l’aforismo di elogia rivolto al cap. Bellodi, dividendo l’unanimità in varie categorie, e attribuendo all’ufficiale il più alto grado morale, perché, pur di fronte ad un capo mafia in manette, aveva saputo rispettarlo come uomo.
Morale: lo Stato si rappresenta da uomo e non da quaquarequa’.
Grazie Professore
condivido ogni sua singola parola, spunto di riflessione sui lati ignobili dell’ antropologia isolana
Grazie, Paolo.
La dignità di un uomo si riconosce dall’umiltà che mette nell’avvicinarsi al debole, al ferito, all’ultimo, al colpevole, non all’eroe.
ogni giorno non riesco a fare a meno di leggere “Sardegna e Liberta” e sempre piu’ ammiro e ringrazio Paolo Maninchedda per la franchezza e coraggio. Oggi, mi ricorda un confronto con mio padre che mi metteva in guardia quando esprimevo benevoli giudizi su Mesina e lui, invece, lo definiva senza indugio un semplice e pericoloso delinquente.
Professore, quando parla di compassione umana nei confronti di un detenuto, mi fa emozionare perché mi ricorda mio padre e uno tra quelli che ritengo suoi valori profondi. Mi ha sempre detto che anche coloro che sbagliano hanno una dignità che va sempre rispettata e mai oltraggiata, anche quando hanno commesso crimini efferati. Lui le manette doveva usarele per lavoro ma non ne ha mai amato il tintinnio. La mitologia sbagliata costruita attorno ad alcuni delinquenti lo infastitiva, ma quando venivano assicurati alla giustizia il suo silenzio per me è stato un profondo insegnamento.
Grazie!
Ottima analisi Professore. Merita un 10 e lode
Condivido tutto il contenuto dell articolo. Il valore etico di una persona si rivela nella rispettosa e dignitosa compassione di chi vive situazioni di difficoltà, di qualsiasi natura essa sia.
Il magistrato Incani è un fuori classe, con la sua semplicità e mitezza è da sempre persona di altissimo profilo morale,civile, umano, professionale e ciò fa di lui una perla rara, un esempio per tutti di semplice grandezza.
Caro Marco, il problema è che abbiamo smesso di insegnarlo nelle Università. I corsi sono diventati professionalizzanti, ma non umanizzanti. Ti abbraccio forte nel comune destino dantoniano.
Caro Paolo, mi sento molto vicino a questo tuo modo di essere uomo.
Onore al magistrato.
Per quanto riguarda chi “fa legna”, molti sono “tuttologi”…delle mie balls.
… In d-un’àrbure ruta totu bi faghent linna che zente isograda. Totus ti ant postu a suta: za ti narant “Sardigna”, ma ses istrassiada!
A mie Grazianu Mesina mi ammentat sa Sardigna.
Aprétziu e istima a su Magistradu Incani.
Condivido totalmente