Il Dubbio ha svelato nei giorni scorsi che il Pool Mani Pulite nel lontano 1992 aveva escogitato un meccanismo perché tutte le richieste di arresto legate a Tangentopoli finissero sempre dinanzi allo stesso Gip, il quale, puntualmente disponeva gli arresti richiesti dalla Procura.
L’arresto confessionalmente estorsivo è una pratica tipicamente oriental-dittatoriale (altro che indignarsi solo per l’Egitto!), molto diffusa anche in alcuni tribunali sardi.
Perché, in fin dei conti, l’obiettivo di molta polizia giudiziaria non è il processo, ma l’arresto, il segnale politico pubblico della punizione anticipata.
Dopo di che occorrerebbe avere un data-base delle richieste d’arresto per persone poi assolte in primo o in secondo grado e andare a vedere quante di queste sono firmate dallo stesso Gip a fronte di richieste presentate dallo stesso Pm. E bisognerebbe anche analizzare l’errore ricorrente dello stesso Pm.
Per esempio, ciò che sta accadendo a Oristano nel processo per i fatti della Sartiglia, con un carabiniere incriminato sulla base di intercettazioni fraintese e di deduzioni assurde sul possesso di cavalli, la dice lunga anche su altri processi. Sempre a Oristano, per esempio, l’accusa rivolta a don Usai di violenza sessuale è caduta senza che si sia manco di striscio indagato su come era stata costruita.
Sempre a Oristano, l’inchiesta sulla manutenzione delle caldaie della Prefettura, che ai tempi degli arresti venne presentata alla pubblica opinione come un caso di conclamata corruzione, già di fronte al Gup sta assumendo connotati completamente diversi e nessuno sembra pagare per questa grossolanità, per questa giustizia all’ingrosso, per questa giustizia che si aggiusta dopo aver comminato la pena della gogna.
A Cagliari, poi, le ultime notizie fanno veramente riflettere: Ugo Cappellacci è stato assolto dalla quinta indagine promossa a suo carico.
Chi è andato a contare quante di queste cinque indagini sono state promosse dallo stesso Pm e su quali basi?
Com’è che a Cagliari certe notizie di stampa, promosse a grande rilievo da giornalisti complottardi, divengono notizie di reato e invece ad altre latitudini si è più prudenti?
Dopo di che, vi sono i compagni del Pd che mi dicono che la magistratura è in grado di autoriformarsi.
Ma dove?
Ne è stato un esempio l’episodio dei giorni scorsi nel quale il pm Di Matteo si è pronunciato nel Csm contro l’autorizzazione da dare a due magistrati perché potessero svolgere la funzione di consulenti della Commissione d’inchiesta sulla morte di David Rossi. Permesso da negare, secondo Di Matteo, perché la Commissione sta interferendo col lavoro della magistratura. Traduzione: siccome la commissione di inchiesta sul più grande scandalo politico-finanziario della recente storia d’Italia (nel quale non c’entrano assolutamente nulla i festini gay, vero specchietto per le allodole, ma dove è evidente che c’entrano i debiti della banca, chi li ha autorizzati, chi non ha vigilato e chi ne ha beneficiato) sta scoperchiando le falle dell’inchiesta e la non volontà di vederci chiaro su quello che sembra essere stato un omicidio, allora si nega a qualsiasi magistrato di collaborare a chiarire la vicenda, come invece si fece per la Moby Prince.
Perché succedono queste cose? Perché l’opinione pubblica non si ribella, non pone il problema della responsabilità dei magistrati, non esige che chi ripete lo stesso errore venga messo nelle condizioni di non ripeterlo più.
Io mi rammarico di non essere finito di fronte a un tribunale a parlare dell’accusa che sotteraneamente mi muovevano negli anni in cui avevo ruolo istituzionale, quella di clientelismo-familismo. Avrei avuto piacere di mettere a confronto la condotta mia e dei mei familiari e quella di alcuni titolati magistrati, figli sempre di qualcuno o nipoti di qualcun altro, o amici conclamati del potentissimo di turno. Avrei chiesto al giudice di valutare la condotta mia e dei mei accusatori non per chiacchiera, per tabulas. Ma non è stato possibile: i custodi non si processano e la domanda resta sempre la stessa: quis custodiet custodes?