Sono stati diffusi in questi giorni i dati delle vendite dei quotidiani nel mese di ottobre 2021. La Nuova Sardegna lambisce per la prima volta la soglia delle 20.000 copie che, essendo una media, significa che vi sono giorni nei quali il giornale vende di più e giorni nei quali vende di meno, cioè, che so io, 18.000 o 15000, un’inezia.
Tutti dicono che la crisi dei giornali sia irreversibile, ma non è vero. Avvenire, il giornale della Cei, incrementa le vendite del 6% e se lo merita tutto perché è un giornale diverso, più vero, più serio, meno impegnato a manipolare di quanto lo siano gli altri.
Qualcuno dirà che Avvenire è comprato dai cattolici osservantissimi, ma non è vero, per il semplice motivo che i cattolici tradizionalisti in Italia odiano questo giornale filo-papale.
Altri diranno che comunque si tratta di un giornale nazionale italiano, mentre La Nuova è un giornale locale.
Però vi sono giornali iperlocali, come Dolomiten che è il più antico giornale in lingua tedesca dell’Alto Adige, che riescono a tenere le vendite e anche a incrementarle leggermente.
Va sfatata questa convinzione che i giornali siano finiti.
Non è vero.
Il problema è che non si possono più fare i giornali come li si faceva prima, egemonizzando il lettore, pensando di potergli servire qualsiasi pietanza, riducendo il mondo a un ristrettissimo e interessatissimo punto di vista, censurando lo scomodo e valorizzando il preferito. Queste cose venivano perdonate dai lettori perché comunque stavano in mezzo a un prodotto che veniva percepito come utile. Oggi che l’utilità è dubitata, non sono più tollerate.
La faziosità è infatti diventata merce inflazionata.
La faziosità è la moneta corrente dei social, nessuno, proprio nessuno, spenderebbe per comprarne un surrogato. Come pure risulta indigeribile il giornale scontato, il giornale pigro che ripete su carta ciò che ha già detto tre volte il giorno prima la televisione (al netto di Rai Sardegna che ripete due volte il giorno dopo quello che dicono i giornali il giorno prima). Il giornale del giorno prima è morto.
In questo quadro La Nuova Sardegna, il giornale tradizionalmente progressista della Sardegna, è passato di mano, ha una nuova proprietà, la quale, non è un segreto, sta cercando imprenditori sardi da coinvolgere nel capitale.
Nel frattempo ha comunicato al comitato di redazione che il direttore è confermato.
Quindi le cose cominciano ad essere chiare: nuova proprietà non vuol dire nuova strategia, rilancio, investimenti.
No, vuol dire continuità e si è visto nella prima pagina di ieri, dove una banale acquisizione di una società da parte di un’altra società di cui è patron il capo della Confindustria sarda, l’ingegner De Pascale, è stata ‘sparata’ in prima pagina manco fosse il passaggio della Ferrari alla Nissan.
Che si tratti di una notizia è indubitabile.
Che valga la prima pagina è dubitabilissimo ed è probabilissimo che la Prima pagina sia stata concessa per quell’errato e fastidioso modo di usare i giornali per la lusinga.
Penso che la cultura sia la ricchezza di un giornale; la cultura aborre la lusinga.
Quando non si serve il lettore ma si omaggia il potere, si perde di valore, nei giornali come nella vita.
A proposito di faziosità, non per nulla che la pagina più letta della Nuova é quella dei necrologi. Almeno quelli non possono essere manipolati.
Condivido in parte Tua analisi, alla base vi è il costo del giornale, 1,50 x 30 = 45,00 € al mese, oltre 600,00 € annui, considera certe pensioni 500,00 € al mese, gioco forza devi fare scelte e dare priorità, medicina? ridurre e tagliare. Proposta, pensionati e altre categorie meno abbienti costo mensile tipo 10 – 15 € come i cellulari, essendo giornali ramo della cultura dovrebbe essere lo Stato coprire i costi
Giornales paperi istratzu (cosa de ‘riciclare’… si assumancu custu fut in bonu!)
Totu un’àtera dignidade iant a tènnere assumancu ca unu est Noa (pardon, “Nuova”, de is bortas chi sa gente cumprendhat méngius, si sa novidade no est cosa bècia istantissada e bècia pedrale). E s’àteru est “Unione” (de chie si no de is Sardos e de custos de ite si no in su sensu de is torracontos, dignidade e diritos e doveres prus mannos e generales?); ma títulu a duas caras, ca in sardu puru giai naraus “unione”, fintzes si unu bellu pagu (po no nàrrere meda) de “frades canes” prus a iscórriu timendho de pèrdere sa “partighedha” chi no a cuncordu po sa parte necessària e giusta chi nosi tocat. Pecau chi a “Unione” dhi apant postu su “LA” mancari a metade ca dh’ant apostrofau! Ma tandho, a cale “bandha” est abbadiandho? Est sèmpere e ancora timendho a abbadiare is Sardos in cara? Ite coltivat, ite e comente atendhet e contivígiat custa “Unione” a duas caras? O est un’iscàndhulu s’unione de is Sardos, assumancu po campare noso puru cun dignidade e calecunu profetu? O est ancora e sèmpere méngius unu “perseverare diabolicum” timendho fintzes is númenes e a foedhare?