Immaginate di possedere a casa un bronzetto sardo e di ricevere la visita di un capitano dei Carabinieri che ve ne chieda conto.
A chi verrebbe in mente di dire: «Me lo ha regalato babbo alla cresima»?
A nessuno.
Però a New York potreste dirlo, serenamente, e il paradosso è che sarebbe accettatto e potreste anche rivenderlo.
La prova viene dal catalogo degli oggetti messi all’asta del 7 dicembre, cioè di oggi, dalla Bonhams Antiquities. Andate ai lotti 82 e 83 e imbattetevi in due bei bronzetti sardi, uno (15,4 cm) raffigurante un arciere senza braccia, prezzo tra i 5.900 e gli 8.300 euro, l’altro rappresentante una navicella di 13cm x 5,5, prezzo più basso perché siamo in continuità territoriale, tra 2.400 e 3.600 euro.
Ora leggete la didascalia che illustra la provenienza: «Private collection, Austria, acquired in 1975 from the collector’s father as a 25th birthday gift». Traduzione: Collezione privata, Austria, acquistato dal padre del collezionista come regalo per il 25esimo compleannno. Si dice che lavori a New York un esperto d’arte sardo e che abbia esclamato: «E minca nostra a babbu tou!», perché se questo è un modo per indicare legittimamente la provenienza del patrimonio archeologico sardo, allora smettiamola di dare la caccia ai tombaroli, ai ricconi che d’estate commissionano dalla Costa Smeralda l’acquisto di un ‘souvenir’ autentico di Sardegna, smettiamola di insegnare nelle università che chi sottrae un bene, sia esso un’opera o un documento, alla Sardegna ne colpisce irrimediabilmente la memoria.
Il problema è che i ladri entrano più facilmente nelle case non abitate, non presidiate, e la Sardegna oggi, purtroppo, è un luogo mascherato, in costume, ma non presidiato da una coscienza vigile.
Egregio Luigi Manca, coltivo l’idea che tutto ciò che riguarda il passato non debba essere oggetto di mercato. Ma è un’idea personalissima. Viceversa, quanto alla provenienza, qualora i bronzetti fossero stati acquistati legalmente (sarei curioso di sapere come), il collezionista avrebbe avuto tutto il vantaggio ad indicarlo, non crede?
Consentitemi un commento un po’ fuori dal coro. Me lo permetto perché studio queste tematiche dalla metà degli anni settanta e le insegno da 25 anni.
In poche parole: qualche colpa ce l’ha anche una legislazione italiana ultracentenaria che blocca indistintamente tutto il patrimonio archeologico, senza distinguere tra l’unicum bronzetto e le miriadi di lacrimatoi, punte di frecce, anfore, monete ecc ecc, tutti prodotti seriali di antiche idustrie, riempiendo i magazzini dei musei statali e impedendo la crescita di quelli locali e di investimenti puliti dei collezionisti eticamente consapevoli.
Fin quando vedremo il dito della tutela ministeriale anziché la luna della valorizzazione da parte delle comunità patrimoniali volute dalla Convenzione di Faro, non per niente congelata per più di dieci anni dal Parlamento, perderemo patrimonio culturale e identità.
Sembra quasi la coazione a ripetere della disciplina della cannabis su cui hai scritto con chiarezza esemplare.
Sa Sardigna est de séculos unu cumonale (e noso prexaos e pranghendho ma chentza ischire poite) e a is Sardos nos’ant fatu fàere allenamentu a sa cultura de “menefrego”, mancari balentiosos (e arguai a nosi pònnere “salia in su nasu” ca sa balentia personale de sa barra ponet fogu o istochígiat su bighinu, ma s’isterreus a tapeto balentiosos po “Deus salvet su re” pregandho e pranghendho); barra personale e “menefrego colletivu”, iscagiaos in totu is iscagiatórios, ma coment’e pópulu e natzione seus unu “Nolisco. Nodhisco. Nodhusciu”, tàgiu de pegos cun pastores mercenàrios de fora e de aintru. E mai sa pregonta colletiva “Ma ite istocada seus faendho?” Unu pópulu de Nolisco morindhosi allenau a mòrrere che tàgiu de pegos.
E puru iat a pàrrere chi seus gente. Ma ite gente seus?
Professore, mi perdoni l’appunto, ma il moralismo del penultimo paragrafo non aiuta affatto il bel concetto della chiusa.
Dal catalogo, peraltro splendido, leggo che sono acquisiti fatti in Austria tra il 1960 e il 1976, sottintende che esistono pezze giustificative, altrimenti di solito trovi il vago “collezione privata”;
Perché escludere possano avere una storia “legittima”?
Nel caso, il simpatico collezionista austriaco, di ciò che possiede a Vienna, non credo sia tenuto a denunciarne il possesso ai gendarmi dei bb.cc. italiani (almeno così ricordo, magari potrebbe aiutare prof. Sardi, sperando non abbia seminato così male…).
La questione del mercato antiquario internazionale e dei rapporti con le diverse legislazioni nazionali di tutela converrà con me possa risultare alquanto complicatina?
Le case non abitate sono i capannoni-magazzino della soprintendenza, come quello di Porto Torres, dove entrava l’acqua dal tetto su centinaia di migliaia di reperti, un esempio fra i tanti.
Sono i comuni e le soprintendenze che non tutelano evidenze archeologiche censite da un secolo.
Sono le università Sarde che non fanno ricerca quanto dovrebbero e quelle straniere che non possono venire a farla…
Che un centinaio di bronzetti sia in giro per il mondo attraverso il mercato legale dell’antiquariato, in mano a ricconi smeraldini o a simpatici collezionisti austriaci, non lo vedo un grande problema;
Semmai per paradosso è un indice dell’importanza che ha universalmente la cultura nuragica, poi cosa dovrebbero dire egiziani, turchi, greci, iraniani, ciprioti, ecc.?
Un problema serio su tutti (che vale anche per il paesaggio in generale) è come abbiamo costruito e continuiamo a costruire e progettare sviluppo su e verso aree archeologiche censite, censite ribadisco e badi bene non soltanto da privati, anzi…
Perdoni lo sfogo, m’accorgo ora del vuoto inutile che lascia…
Un saluto con stima Luigi.
Die ‘ona, Paulu; bio chi ses sempre chittulànu.
Vero. E sono poche le persone che rispettano i beni altrui
https://www.facebook.com/NURNET2013/posts/4678238915588129