Oggi i giornali sono inevitabilmente ricchi dei volti dei sindaci sardi neoeletti.
Oggi è la giornata dell’euforia, ma forse dovrebbe essere una giornata dedicata alla prudenza.
Il rischio di qualsiasi sindaco è il principalato, cioè l’interpretarsi come il dominus del paese o della città. Bisogna sapersene difendere. Conosco ex sindaci che soffrono del non essere più salutati da tutti. È il problema di chi non vede sotto il saluto di circostanza proprio la circostanza e invece lo attribuisce al proprio valore. Una buona arma è l’ironia. Una seconda è la consapevolezza dei tempi.
Troppi i luoghi nei quali si è presentata una sola lista.
Che significa?
È il segnale che si sta riducendo il numero delle persone disponibili a impegnarsi in politica e nell’amministrazione al punto che si fatica a comporre almeno due liste. Non è casuale. Mentre prima fare politica era un’esperienza guardata con rispetto e attenzione, oggi è motivo di scherno, di sospetto e, quasi sempre, di indagine. È normale che le persone normali la evitino. È l’effetto dell’ubriacatura populista i cui strascichi dureranno a lungo.
È sempre più comune che ad occuparsi della cosa pubblica siano persone che diversamente non avrebbero molto altro da fare. Triste, ma vero.
Chi ha un lavoro, una professione o un’azienda che funzioni, difficilmente è disponibile a mettere tutto in discussione per un mandato politico. In molti che l’hanno fatto in passato, oggi non lo rifarebbero. Il reinserimento è una lotta all’ultimo sangue per riconquistare ciò che si era lasciato. Molti lo sanno e non lo lasciano più.
In pochissimi casi l’elettore si è espresso e si esprime in base ai programmi presentati. Il più delle volte, il voto è legato a un’emozione o a una convinzione pregressa o a un posizionamento storico. In molte circostanze si è in presenza di cicli storici inevitabili, la voglia di cambiare, la pressione delle nuove generazioni, la sostituzione naturale (biologica) delle leadership. L’intelligenza sta nel capirli per non montarsi la testa.
Infine, il rapporto tra le responsabilità in capo a un sindaco e i poteri reali per risolvere i problemi è nettamente a favore del primo elemento. Nelle piccole realtà si vede meno e ciò che è un diritto degrada spesso nella percezione di una grazia che tiene in piedi chi la fa col minimo sforzo. Ma non appena il numero della popolazione è tale da porrre problemi di coerenza tra diritti e servizi, si sperimenta una evidente realtà: i sindaci possono fare veramente poco. Possono rispetto ad alcuni fattori regolatori, come l’urbanistica; possono, se non hanno sbagliato il bando, fare qualcosa per i rifiuti. Possono, se hanno bene amministrato, fare qualcosa ogni tanto per il decoro urbano. Ma sui versanti che decidono se risiedere in un posto piuttosto che in un altro, e cioè lavoro, qualità dell’assistenza sanitaria, sicurezza, istruzione, servizi per l’infanzia, mobilità, infrastrutture, tutela dal rischio idrogeologico, i sindaci possono fare veramente poco e la gente comincia a capirlo.
I veri poteri sono i poteri degli apparati e sono anonimi, non vanno a elezioni. Una parte minima delle proteste di piazza di questi giorni, oltre che nascere da tanta ignoranza (effetto certamente dei social che valorizzano ciò che prima era marginale, cioè la chiacchiera, la calunnia, la bugia, ma anche delle promozioni facili, della crisi di qualsiasi autorità, delle lauree triennali inutili che hanno spesso generato gli allori asinini), nasce dalla rabbia per l’impotenza che si sperimenta nei rapporti con i grandi apparati amminsitrativi che gestisccono ormai la reale vigenza dei diritti. Gli apparati non vanno a elezione, tanto vale non andare a votare. Questo è il clima, drammatico e cupo.
Auguri ai sindaci, dunque, specialmente a quelli non principaleggianti, a quelli che sorridono di sé, a quelli che comprendono che viviamo tempi nei quali stiamo covando o una grande rinascita o una terribile tragedia.
Auguri agli olbiesi che per la quarta volta consegnano le chiavi della città a Nizzi. Niente da obiettare sul voto popolare. Ma per chi come me ha seguito la lunga campagna elettorale tarraunese mi riporta ad una locuzione latina: panem et circense!!!
Il mammolo appena eletto squadrando il suo competitor, a risultato acquisito lo ha appostrofato:- Navone, questa volta non ti perdono ! Bohhh…
Non c’è che dire come inizio di legislatura. Nizzi, abituato a sbeffeggiare chi gli si mette di traverso, è convinto di essere al di sopra di tutto e non ha pudore nel minacciare chi, al di là della sconfitta, rappresenta pur sempre il 48% della sua città, che lui governerà per gli amici e i suoi cari. Come sempre!
Nois Sardos no resessimus a cumprèndhere cantu sa populatzione sarda est, ca l’ant, impoverida de zente, parimus de cudhos chi cascano dalle nuvole. Ebbenemindhe de “piani di rinascita” fatos e a fàghere, pro no faedhare de totu sa ‘rinascita’ chentza sonu e ne tontonu chi peleamus die cun die chentza mancu ischire it’est, si est isfrutamentu, cayenna pro mafiosos, muntonarzu, trobeas e “manette”, ‘irméntigu de guvernu’ chi tenet sempre totu àteru de pessare e fàghere, fuivui emigrendhe sa zoventude (e no solu) preparada istruida pro emigrare, avilimentu de chie isperat e ispetat e si lamentat in debbadas e ispetendhe miràculos indebbadas. O ispetendhe nudha.
Cantas bidhas no ant presentadu lista? E cantas una sola? Ma leamus sas chi ndh’ant presentadu prus de una.
No paret zente de fronte a unu disastru ifatu de s’àteru chi si dimandhat: Beh, ite faghimus? Ite médiu leamus?
Parent meda prus cambaradas chi current a pònnere sas manos a sa fita prus manna de una “turta”, al netto de totu sas “buone intenzioni”, mancu male!!!, chi ant impredadu sempre fintzas su caminu de s’iferru.
Auguri a tutti i sindaci ma soprattutto al caro amico Tore Ghisu di Borore che venne ingiustamente accusato ed esposto al pubblico ludibrio come il peggiore dei mafiosi, salvo poi scoprire che era assolutamente innocente.
A tutti voi chiedo un occhio di riguardo per l’abbattimento delle barriere architettoniche nelle vostre realtà, noi di SardegnAccessibile vi saremo sul col fiato sul collo.