Oggi i giornali sono attraversati da venti incontrollati.
Per esempio, si riesce a dare una sorta di smentita senza aver dato prima la notizia che si vorrebbe correggere. Mi riferisco al fatto che non mi pare alcun giornale abbia pubblicato la notizia della bocciatura della richiesta di aspettativa presentata dal nominato segretario generale della Regione Sardegna. Oggi, con preannuncio dell’accoglimento del ricorso (evidentemente il giornale ha ottime informazioni tra i magistrati), si pubblica la notizia secondo la quale a metà ottobre tutto si risolverà. Amen.
La Nuova dà la notizia di un processo in corso contro funzionari dell’Università di Sassari che avrebbero guardato senza motivo i dati dello studente Solinas. Siamo orgogliosi di noi stessi: noi raccontiamo Solinas senza spiarlo, cosa antipaticissima, perché lo conosciamo a memoria e vediamo le sue tracce sul terreno di gioco della politica perché sono evidenti. Resta un fatto: diviene paradossale che sia processato chi illegittimamente ha guardato i dati di Solinas e non chi protegge dalla semplice lettura la sua tesi. Questa è l’Italia, un impiccato al giorno toglie il medico di torno.
Oggi, almeno L’Unione descrive il putiferio in cui la Sardegna è precipitata nei porti e negli aeroporti. Siamo isolati. Il problema è la memoria. Non si ricoda più il perché, che ha una data precisa e un responsabile preciso che cade sotto il nome di Solinas, il quale appena eletto e insediato devastò il duro lavoro fatto dalla Giunta Pigliaru sulal continuità territoriale. e perché lo fece? Perché si sporcò la mutanda dinanzi a un ventilato ricorso da parte di Ryanair, la compagnia che in questi giorni di annullamento dei voli Alitalia fa pagare per le prenotazioni last minute un pacco di soldi. Ma questo non si racconta. E allora io mi butto in letteratura.
Alessandro Zorco è un giornalista che ha scritto Come un brezza leggera, Abbà Edizioni, 22 euro.
È un libro che avrebbe bisogno di una nuova edizione, come accadde a Nuovo Cinema Paradiso, perché ha un’ambizione, quella della costruzione di un mondo col solo linguaggio piuttosto che con l’azione narrata, che non riesce a centrare pienamente per assenza del troppo pieno, cioè di quel meccanismo regolatore che ti sa dire quando stai coprendo il meglio di te con l’eccessivo uso di te.
Ma è un libro originale in Sardegna, un libro sulla potenza del gioco di parole, sull’ironia, sul calembour, sullo sguardo straniato con la sola inversione di una sillaba. Un maestro del genere fu Umberto Eco. Celebre il suo Silvio Pellusconi, Le mie televisioni, oppure, l’altra, magnifica, Cazzandra. Profetessa che non ne indovina una.
Su questa lunghezza d’onda, in un libro che vuole essere onirico ma che non ci riesce per l’eccessiva voglia di prendere in giro il mondo sardo conosciuto, trasfigurandolo in un mondo di favola che di favoloso non ha nulla tanto è reale, si stagliano i giochini sillabici.
Per cui si va dal blasfemo Spirito Sardo che spira dove vuole, allo stendardo dei Quattro morti, dal baccalaurearsi di lì a poco. Con minzione d’odore, all’agenzia giornalistica Ansia, dall’elfico Qui, in mezzo alle contrade, narfi e puttarde consumano gatti osceni, alle star dell’archeoporno Mutanda Pozzi, Marina Fraintese, Rocco Manfredi e Cipollina che solo i cinquantenni o giù di lì sanno ormai chi erano.
In mezzo a questo tripudio del cazzeggio (che è pur sempre un’arte e un grande esercizio di libertà), distinto in aulico e plebeo, ilare e mesto, spicca il capitolo 46, intitolato Lo gnorri.
Tutto il libro, in verità, è un atto d’accusa al sistema dell’informazione in Sardegna, ma questo capitolo è degno di nota. Non tanto perché nei precedenti si è parlato di RaiSuola; non tanto perché i redattori del giornale si chiamano Calloni e Frejus; quanto perché genialmente vi si legge che il manuale da cui studiare per fare i giornalisti si intitola Lo gnorri. Ci vuole intelligenza per pensare una cosa del genere, così semplice e così perfettamente aderente alla realtà. Fare finta di non sapere, questa è la suprema abilità dello gnorri e come non ricordare un grande calembourista come Roberto Gervaso che ha scritto: c’è chi scrive per dire ciò che non sa e chi per nascondere ciò che sa.
In questi giorni di evidente emersione dell’emergenza trasporti e sanità, si dà conto delle proteste ma si evita accuratamente di raccontare le responsabilità, si finge di non sapere per non dire ciò che si sa.
Lu cherzo lèzere custu líbberu!
De su restu, sos Sardos podimus èssere cussiderados unu pópulu de gnorris: no bidimus mancu su cadhu presu (fossis coment’e iscusa pro no andhare a cadhu nois o fàghere unu piaghere a sos “barones” chi no torrent a pè in terra issos!), no bidimus candho su fogu noch’est manighendhe sos pes e… no naro candho no bidimus su chi est craru, gai craru chi noche at bogadu fintzas sos ogros! Tzertu, inue zughimus sos ogros, si ndhe zughimus? In batile?!
Macché, totu nudha! Tzegos bidindhe!
Ma si poto cumprèndhere cudhos, sa mazore parte, chi pro campare suerant àter’e che sette camicie, fúrriant s’istògomo a s’ala mala cudhos chi podent èssere cussiderados “classe”, no de iscola, de àteru, infame ad abundantiam.