Oggi si ha una dimostrazione palmare di che cosa significhi essere uomini potenti a Cartagine/Cagliari.
Incredibilmente, nel quotidiano che non aveva dato la notizia della notifica alla Corte dei Conti da parte del Collegio sindacale di Abbanoa di una possibile illegittimità commessa dal presidente di Abbanoa – che si era liquidato il compenso pur essendo in quiescenza come docente universitario – si trova la rassicurazione dello stesso Presidente che, a quanto scrive il giornale, avrebbe chiamato la segreteria della Corte dei Conti e sarebbe stato rassicurato sulla legittimità delle sue azioni in quanto avvocato. In nome di quale legge? Non è dato saperlo. Una legge che stabilisce eccezioni per soli avvocati della quale però non si trova traccia, sicuramente per mia incolmabile ignoranza.
Quando si è potenti, comunque, si fa così.
Si chiama la segreteria, si viene rassicurati e si dà la notizia.
Quando non si è nessuno, invece, si affronta il giudizio.
Quando si è qualcuno a Cartagine, i giornali non fanno neanche domande, non interpellano gli organi di controllo della Società per sentire le loro ragioni, non leggono neanche l’atto, niente.
Quando si è potenti vale l’ipse dixit.
E così sia.
Stato di diritto?
Sovranità della legge? Sì, ma con eccezioni cartaginesi, tra le quali questa della chiamata alla segreteria di un organo inquirente e giudicante è nuovissima, ad altissimo grado di replicabilità punica.
Passiamo ad altro. Lasciamo il caso Abbanoa perché sicuramente siamo nel mondo del de iure condendo, un campo troppo sofisticato per persone comuni senza potere – nel mondo medievale era povero non chi non aveva beni, ma chi non aveva potere per difendersi – e passiamo ad illustrare altre abitudini dei potenti cartaginesi. Ciò che stiamo per dire non riguarda in alcun modo le vicende e le persone impegnate nel governo di Abbanoa che anzi, rispetto a ciò che si dirà, hanno comportamenti esemplari. Si parla di altri e con ben più potere.
Ieri mi è stato raccontato di un potente che più di una volta dimentica di pagare. Sollecitato al pagamento si è appellato all’articolo a sa scarescia.
Questo vezzo di divenire malos pagadores quanto più si diventa ricchi è un tratto di tanti laticlavi cartaginesi che vedo attivo da diverso tempo. Anche un altro potente e ricco è famosissimo per non onorare bene i suoi debiti, al punto che pochissimi artigiani oggi accettano le sue commesse.
C’è da chiedersi: perché pur potendo non si paga ciò che si prende?
Le risposte sono due.
La prima: perché lentamente si è portati a ritenere la ricchezza posseduta un diritto e non una conquista precaria, per quanto meritata, o un privilegio a tempo determinato (quando i meriti non ci sono e il benessere deriva da un favore). Si desidera che la ricchezza divenga una rendita, per sempre, un fatto dovuto dal popolo alla dinastia. È l’ambizione signorile sarda: divenire conte, barone o marchese, essere riveriti, non lavorare e godersela.
La seconda: perché ci si abitua al lusso e lentamente si vive sempre un po’ al di sopra di quanto si potrebbe, fino a non reggere il livello di consumi su cui ci si adagia. Sono gli addicted del lusso, quelli che non riescono a stare a casa la sera a mangiare un uovo al tegamino, che non riescono a vedere un angolo della casa senza opere d’arte, che non riescono a viaggiare su una macchina normale, che non riescono a non fare viaggi tutti gli anni a punta di casino per poterlo raccontare, quelli che corrono verso il baratro sperando che il baratro si sposti.
Questa è una parte della classe dirigente sarda, la più dannosa, ederante e pendente, onerosa e pretenziosa, quella che impedisce e ha impedito nei secoli ogni grandezza a questa terra (perché loro temono i grandi scontri, le grandi battaglie. Temono la grandezza) e ha sempre ucciso ogni profondo cambiamento educativo, culturale e politico di questa Isola.
Infine Repubblica. Il giornale che fa meno opinione in Italia pur pretendendo di dettare l’agenda a tutti, dal governo all’opposizione, il giornale che sta silenziando il caso Palamara con attentissimo riguardo, oggi titola: “La Sardegna spaventa”.
Qui di spaventoso c’è solo la manipolazione della verità, perché se c’è una cosa chiara è che il Covid in Sardegna è venuto massicciamente da altre regioni (a parte Sassari) e ad altre regioni sta ritornando dopo le vacanze. Io non sono tra i piagnucolatori sardi, quelli che non fanno nulla, non lavorano, non faticano, non si espongono, non combattono, ma appena un imbecille dice che ci conoscono solo per le pecore si stracciano le vesti. Questi polemisti da spiaggia, gli indignatori di professione, non mi piacciono.
Ma ancor meno mi piacciono gli invertitori della verità, quelli delle capitali sempre giuste e delle periferie sempre sbagliate. Qui di spaventoso c’è stato Zingaretti che è andato a Milano per dire agli italiani di non avere paura e si è beccato il virus. Qui di spaventoso c’è stato un governo che prima ha detto che le mascherine non servivano e poi ha detto che erano essenziali. Qui di scandaloso e spaventoso c’è che ancora non si sa come mai la Lombardia abbia ancora tassi di contagio così alti. Qui di scandaloso c’è che a fronte di un governatore che voleva controllare solo i lombardi, c’è stato un sindaco protervo che ha scritto che quei lombardi danno da mangiare ai sardi, invitando così a trarre la logica conclusione che se hai fame devi essere disposto anche a ammalarti da chi ti dà da mangiare. Qui di scandaloso c’è che il governo ha proibito blandamente le tante movide (il governatore sardo le ha pure autorizzate) a stagione quasi finita, per fare riprendere il Pil perché sa che di soli sussidi si muore.
La Sardegna non spaventa nessuno, sta semplicemente dentro un quadro di spaventosa incertezza dello Stato, costretto ormai tra l’incudine della fame e il martello della salute.
È spaventosa la cantonata di un giornale senza bussola, che spara titoli ad effetto per coprire i suoi protetti , che fa il paio con il Tg1 che in un’edizione ha fatto parlare Briatore e riassunto Solinas, ha intervistato i giovani di fronte al Billionaie ma non ha fatto dire una parola al sindaco di Arzachena. Qui di scandoloso e spaventoso c’è l’asservimento bieco dei giornali del potere finanziario al potere politico.
La Sardegna è un pretesto per Repubblica, per distogliere gli italiani dallo spaventarsi della pochezza del governo e dell’opposizione, della pochezza del Paese. Non compriamo Repubblica. Ci guadagnamo in secrezioni gastriche.
Regione autonoma da cosa? Continuano a colonizzarci e stiamo anche zitti:paucos, locos y male unidos.
Il sardo è diventato spettatore dell’ingiustizia,oramai vittima consapevole e disponibile ad esserlo ,consapevole del dominio totale delle caste e del potere, atleta olimpionico nell’esercitare una sorta di vittimismo sterile! E sottostare al volere altrui,inerme accetta la propria condizione . Altro che mafia !
Giusto. Titoli a vanvera che adulterano la realtà. Eravamo noi a temere loro e non abbiamo potuto proteggerci.
In cantu a sos Italianos (ponimus chi meritent, segundhu, sa I majúscula), pro nos ammammalucare est ca medas, medas sardos o sunt nàschidos custu manzanu a s’impudhile e ancora sonnisonni o sunt ‘campados’ a totu vida cun sas manos in ogros, a origras tupadas e a limba… leada (ma no ca imbriagos o dimajados o perdindhe sos atuamentos: solu ca ant leadu/comporadu limba de civilizados cun ‘onore’).
Si est sa “classe” digerente sarda… (e no de oe, diàmine!) tio nàrrere antzis chi est própriu prus tubo digerente, cun totu su chi che l’intrat in artu, in “ore”, e totu su chi ndhe li essit in bassu de su pertusu: de su restu, orifizio est s’unu e orifizio est s’àteru.
Ma una cosa est meda meda prus urzente: nois no depimus assolutamente pèrdere ne sacu e ne sale, tantu de sa miserabilia no faghet andhe fàghere ne crau e ne tzou, e mancari fintzas su ‘ideale’ chi zughent in conca est cussu de “Cani imbàuat e procu pascit”, chi coment’e categoria seberada a ideale no est mancu mala ca ponet a lardu.