È notizia di qualche giorno fa (ne scriverò fra qualche giorno in un organo di informazione a diffusione nazionale italiana) che, secondo il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, il sindaco di Riace Mimmo Lucano non doveva essere arrestato: il «quadro indiziario [è risultato] inconsistente» e vi era una clamorosa «assenza di riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di procura, fondate su elementi congetturali o presuntivi».
È evidente che se il Tribunale del riesame si spinge a queste affermazioni, la difesa di Mimmo Lucano si è a sua volta avventurata in una scelta alla quale gli avvocati sardi raramente accedono, quella di entrare nel merito, da subito, e non solo nel processo, delle accuse formulate per motivare l’arresto. Che stiano cambiando i costumi processuali? Che anche in Sardegna gli avvocati scelgano di smettere di essere rinviisti? Che anche in Sardegna l’avvocatura ritorni ad essere dialettica e non eternamente patteggiante con l’accusa? Chissà.
Ma le parole più pesanti il tribunale le dedica al principale testimone d’accusa di Lucano, testimone che, secondo i giudici, avrebbe dovuto essere ascoltato con maggiore prudenza, vista che è parso «evidente l’atteggiamento di astio» verso l’ex sindaco.
Qui siamo a una svolta. In Sardegna i testimoni a carico di molti imputati vengono selezionati in base all’astio: più ne covano, più sono ritenuti attendibili al punto che, in alcuni casi, non ci si è presa neanche la briga di andare a vederne i precedenti penali e ci si è ingoiati a glu glu rappresentazioni odio-rancoroso-sarcastiche di rara raffinatezza viola, cioè del colore dell’invidia.
Ovviamente, il Tribunale scrive che «il pm avrebbe dovuto vagliare con maggiore rigore i dati compendiati e riscontrarli con ulteriori elementi di segno positivo», cioè scrive che il PM avrebbe dovuto vagliare e non deglutire il lavoro della Polizia Giudiziaria, e qui si tocca un punto dolente, messo ben in evidenza da un’intervista recente di Antonio Di Pietro (quando si inveccchia, ci si confessa con maggiore sincerità): mentre prima, secondo Di Pietro, i magistrati partivano dai reati e poi cercavano di individuare le persone colpevoli, adesso i magistrati partirebbero dalle persone e poi cercherebbero i reati. Parole sante! Ma chi materialmente combina questi disastri è la Polizia Giudiziaria, la quale non teme il processo, gli basta dominare la fase degli arresti. Nei processi inanella figuracce a giumelle, ma gli encomi sono già stati dati, le promozioni già eseguite, poco importa se poi di un castello accusatorio megalitico rimane solo qualche pietra. L’obiettivo di distruggere le persone è stato comunque raggiunto.
Per esempio, oggi finisce in cronaca e anche con un articoletto da niente l’arringa oristanese degli avvocati difensori di don Usai, arrestato, da prete, vorrei ricordarlo, da prete, per violenza sessuale e sfruttamento della prostituzione. La prima accusa è già caduta. Durante il processo sono scomparsi molti testimoni; una testimone autrice di mail alla PG è risultata analfabeta; un medico, non medico. L’avvocato Anna Maria Uras ha dichiarato che «il 95 per cento dei testimoni dell’accusa, in aula non ha confermato il contenuto dei verbali fatti in caserma». Sono cose gravi, ma nessuno pagherà, a parte don Usai, che ha già pagato. Sono notizie gravi che meriterebbero l’encomio sociale verso chi ha il coraggio di contrapporsi allo strapotere arrestante e manipolante delle Procure, ma che esigerebbero, in un mondo serio, la prima pagina dei quotidiani. Invece no, perché i cronisti vivono delle briciolette che toghe e divise concedono loro e siccome cane non mangia cane, non raccontano la lotta per la libertà con la stessa enfasi con cui raccontano la caccia a denti insanguinati dell’accusa.
Ma i tempi cambiano. L’importante è restare vivi.
La certezza del diritto se la sono fatta aglio e olio con peperoncino e credo che sia stata anche già evacuata!
La cosa preoccupante è che il malcostume, l’abuso sono dilaganti e non circoscritti a questo o a quell’ambiente.
Vi è sempre pronta la giustificazione, la maldicenza diventa subito il fondamento di un reato, la menzogna il modo più semplice per colpire chi si invidia e non deve raggiungere ciò cui ambisce un altro.
C’era un mondo in cui la menzogna era subito smascherata, ai lamenti dell’asino le orecchie diventavano sorde, le persone venivano considerate in base alla condotta di vita e ai fatti. Oggi non c’è più. Arrendersi e fare come Palamara (così fan tutti è la sua difesa, un po’ come Craxi)? No, il tempo è galantuomo. Oppure, per tradurre altro detto sardo, lapidario ed efficace: ciò che mi hanno tolto me lo devono. Come a dire, sono io ad aver subito un torto, quindi, la mia coscienza è tranquilla.
Angelo, prima di tutto si resiste.
“Cane non mangia cane”, però, porco cane!, sempre canes! O una cosa de homo homini lupus, o canes lupinos.
De su restu, in d-una ‘civiltà’ de gherra gherrada gherrendhe totu a VINCERE E VINCEREMO, bastat chi siat a VINCERE…, mancari solu ‘progressu’ in carriera; epuru tiant pàrrere pagu cosa, cherzo nàrrere lupinos ‘civiles’, coment’e chi a èssere zente, civile fintzas solu pro cussu, siat cosa de un’àtera umanidade.
Assolutamente inconcepibile e, come sempre, nessuno pagherà! 🤬🤬🤬
L’interrogativo è sempre lo stesso. Che si fa ? Le riunioni pubbliche distanziate si possono organizzare. Il fisco non scherza. …