Questi giorni la pubblica opinione è stata abilmente indotta ad occuparsi di inesistenti passaporti sanitari, di tamponi, test rapidi, sierologici o meno, di tracciamento e di annessa modulistica. Tutto fatto per gestire l’impedimento alla libera circolazione, quella delle persone, che nell’era pre-covid 19 era diritto inalienabile per tutti gli europei. Un diritto, che è parte della battaglia per il riconoscimento dello stato di “insularità”, che in modo politicamente e socialmente trasversale stiamo conducendo da anni. Un diritto che vale nel settore turistico circa il 14% del prodotto interno lordo della Sardegna.
Quel dibattito, così ampio e invasivo in tutti i media nazionali, poteva essere condotto con razionalità, affrontando, nell’interesse comune, un ragionamento sulla necessità del potenziamento della risposta sanitaria, soprattutto quella territoriale, della organizzazione migliore dei servizi, anche qualificando l’offerta turistica sul fronte dell’attenzione e della sicurezza. Invece si sono alimentati fiumi di parole prive di fondamento scientifico, pieni però di toni minacciosi e discriminatori. Come se fossimo governati da una schiera inesauribile di sceriffi-bulli.
Tutto ciò ha comunque offuscato una realtà, tragica. Quella della crisi del sistema produttivo e dei conti pubblici. Infatti, è sempre più reale la prospettiva di un PIL 2020 sotto di oltre 10 punti percentuali. L’Isola non ha ancora recuperato i livelli di ricchezza prodotti ante-crisi economica- finanziaria del 2008, che si ritroverà ricacciata indietro al di sotto dei 30 miliardi di euro di prodotto interno lordo. Una situazione che produrrà l’effetto di una forte riduzione del gettito che, combinata con la quota di contributo alla finanza pubblica dello Stato, definita dal recente accordo Solinas-Boccia, potrà incidere nella disponibilità del Bilancio regionale tra il miliardo e il miliardo e duecento milioni di euro in meno.
A questo si aggiungano gli effetti dell’articolo 8 (riformato) dello Statuto in materia di spesa sanitaria che potrebbe penalizzare ulteriormente, e mortalmente, la finanza regionale impedendo ogni manovrabilità a sostegno del lavoro e del sistema economico, ogni azione sociale verso le categorie più sofferenti. Infatti, la Sardegna rischia di essere tagliata fuori anche dalle provviste comunitarie a favore del potenziamento della sanità territoriale, di cui si sente universalmente il bisogno, acquisibili con l’accesso al credito del MES (meccanismo europeo di stabilità). Quelle risorse andrebbero rivendicate per la realizzazione di un Piano di riassetto sanitario che preveda la realizzazione di strutture territoriali polivalenti, capaci di gestire le urgenze, di rappresentare un primo qualificato punto di analisi diagnostica e di assicurare – anche per le patologie croniche rilevanti – una sede attrezzata di somministrazione delle terapie. A tutto ciò aggiungendo una risposta sanitaria efficace e completa per le realtà delle piccole isole, da Carloforte alla Maddalena, dove si sono anche di recente registrate situazioni di criticità intollerabile. Nell’idea di assicurare la migliore assistenza sanitaria alle persone in prossimità dei loro luoghi di vita.
Giunta e Consiglio dovrebbero discutere di questo, della necessità di rivedere gli accordi capestro con lo Stato. Dovrebbero proporre e realizzare, con l’accesso ai finanziamenti comunitari un piano per l’infrastrutturazione sanitaria territoriale. Nuove strutture, apparecchiature diagnostiche moderne, un sistema organizzato e professionalmente attrezzato, nella qualità e nella quantità. Per i sardi, per i residenti e gli emigrati che rientrano, e anche per chi sceglie l’isola per conoscerla e visitarla. Nessun passaporto sanitario, al contrario un sistema a tutela della salute di tutti.