La “bomba” sanitaria ed economica che ha colpito, per primo il nostro Paese e, a seguire, gli altri stati del continente europeo, sta accelerando la “resa dei conti” (quale espressione più pertinente) tra l’Unione, i suoi organi di governo, ed i singoli stati sovrani, sinora anestetizzata dai vantaggi, condivisi ma prevalentemente a favore delle economie più forti, assicurata dall’economia del “mercato comune”.
È vero che i principi positivi dell’appartenenza all’Unione, sinora componente dell’educazione scolastica e del pensare “politicamente corretto”, sono stati messi in forte dubbio dalle pulsioni suscitate dai nuovi partiti sovranisti , in Italia come in altri stati, innovative e forti ma non tanto da mettere in dubbio il nuovo governo dell’Unione ancora una volta a forte trazione centroeuropeista.
Dall’appartenenza all’Unione l’Italia, paese fondatore ma parente debole del gruppo, ha ottenuto, anche in tempi recenti, importanti vantaggi in termini di stabilità economica complessiva (ad esempio a seguito dell’iniziativa sul ql.) e puntuali (quali i piani finanziari per la competitività o la convergenza nelle regioni più povere) pur in un quadro di limitazioni e diktat che hanno foraggiato le contraddizioni politiche interne,
Ora tuttavia il progredire, e non sono in Italia, e l’estensione della letalità dell’infezione pandemica, l’incedere sbalorditivo e sgomento delle incontrollate relative curve statistiche ma soprattutto le paure del crollo delle diverse economie, bianche, grigie e in nero, che reggono, seppur diversamente, le economie delle nazioni partners ma ancor più la paura delle ricadute sulla cosiddetta coesione sociale e, quindi, non certo quale ultima opzione, sul consenso politico, hanno impresso una svolta nelle iniziative dei singoli stati nella ricerca di soluzioni economiche e finanziarie a gravare sul ricco bilancio dell’Unione.
E in particolare da parte del Governo italiano che ha rivendicato con forza misure finanziarie più pregnanti che mettano a disposizione, senza vincoli di condizionalità, importanti risorse per ammortizzare sia il “fermo macchine” del sistema produttivo generato dalle misure di guerra alla pandemia sia l’assistenza alla società indebolita sia ancora il supporto alla ripresa produttiva ed economica. Sulla importanza e urgenza di tali iniziative si sono quindi espresse figure autorevoli quali l Presidente della Repubblica ed il precedente governatore della BCE.
Le richieste, peraltro condivise da numerosi altri paesi dell’Unione, le cui economie soffrono ugualmente dei contraccolpi della pandemia, non hanno tuttavia ottenuto un consenso in sede europea, per le resistenza, e la sostanziale opposizione, insorta nei paesi che si riconoscono nella politica rigorista della Germania, anch’essa colpita, seppur in misura minore , dall’epidemia, generando di fatto quella che si configura come la più grave crisi politica dell’unione europea dalla sua costituzione, presupposto per una caduta anche sociale dei consensi all’Unione, ed una sua possibile disgregazione.
L’estrema gravità di tale situazione impone quindi a tutti gli stati membri, sia le nazioni che soffrono e, pur in condizioni di debolezza strutturale, devono esporsi finanziariamente ulteriormente, sia gli stati affetti da “egoismo economico protetto”, di trovare “profferte” da portare al tavolo della trattativa , come si conviene quando si ha a cuore – in primis – la sopravvivenza del benessere dei propri popoli .
Come si superano quindi concretamente le resistenza delle posizioni degli stati membri che, dopo stagioni “da formiche” temono che un nuovo indebitamento condiviso , sollecitato dalle “cicale” metta a rischio la propria stabilità economica? La possibile risoluzione di quello che appare essere un blocco insormontabile passa tuttavia per la condivisione di alcuni semplici assunti che si tenta di esemplificare, pur in termini brutali, nel seguito.
Primo assunto: la posizione di “egoismo economico” non è prerogativa dei soli Stati nel nord Europa (Germania, Olanda o Austria) ma la si può ritrovare in alcune posizioni in alcune regioni italiane nei confronti del resto del paese. Occorre quindi svestire tale posizione da pregiudizi etico-morali e valutarla come semplice opzione politica oggetto di trattativa.
Secondo assunto: la posizione di vantaggio delle economie “forti” che nell’Unione si oppongono alle richieste di condivisione del debito deriva anche dai vantaggi dell’ economia, in termini di consumi e di forniture, comune e da norme di fiscalità differenziata di tipo protezionistico. Occorre quindi portare al tavolo della trattativa una cessione comune di sovranità su alcuni temi, aspetto che volge ad una crescita politica dell’Unione. In altri termini o si cresce insieme, alzando la posta, oppure è meglio saperlo subito.
Terzo assunto: bisogna superare il pregiudizio (?) prevalentemente nord-europeo sulla scarsa efficienza e produttività del paese Italia impegnandosi realmente ed avviando subito le iniziative, utilizzando il dichiarato “regime emergenziale”, per l’avvio fattivo di un vero e concreto processo di riforma ed efficientamento del paese. Questo impegno, che per certi aspetti potrebbe essere inteso come una “condizionalità”, è in realtà un interesse primario della nazione Italia; infatti non saranno le decine o centinaia di miliardi di euro che verranno stanziati a favore del sistema produttivo o dei consumatori o delle famiglie quando l’efficienza e l’efficacia del livello di spesa che i gangli vitali della P.A. italiana porranno in essere che potranno garantire i risultati reali. Ancora una volta quindi diventa centrale una riforma della P.A. (riforma codice dei contratti, riforma del processo civile, riforma della struttura della responsabilità amministrativa, privatizzzazione del pubblico impiego, etc) che forse solo questo “stato di guerra” ci permetterà di avviare.
Bisogna quindi aprire una trattiva sul tavolo europeo che non si limiti alla sola richiesta ma avanzi, oltre all’impegno “di parte” del sud Europa per una riforma del suo sistema paese, con una politica “al rialzo” con richieste di analoghe riforme di tipo strutturale nell’UE per una uniformizzazione delle regole a superamento degli squilibri di tipo economico basato sulle “condizionalità” di vantaggio.
Questa strategia è poi evidentemente a monte di tutti gli altri strumenti attuativi “territoriali” qualunque essi siano (politica a pioggia, allargamento del reddito di cittadinanza, abbattimento irap, abbattimento mutui, etc) ma tutti, occorre esserne sempre piu’ consapevoli, non potremo sperare in un effettiva “ripresa” se non si attiveranno subito le norme, a carattere straordinario, di riforma o di anticipazione delle riforme strutturali atti ad incidere sulla supercitata “produttività” del sistema italia.
Non sempre il verificarsi di una “emergenza” naturale, sia pure di carattere catastrofico, (come ad es. il sisma nel centro italia), che ha assicurato afflusso di ingenti stanziamenti e capitali, ha determinato azioni efficaci a sostegno delle popolazioni e del sistema produttivo colpito. E questo proprio per l’assenza di misure di riforma strutturale ai vincoli delle amministrazioni operanti. Quando la pressione politica e mediatica è invece diventata predominante (vedi il caso del ponte Morandi) e sono state operate deroghe importanti e si sono visti risultati diversi.
Quali conseguenze ha poi comportato l’ingessamento delle procedure amministrative sulla tempestività della gestione sanitaria dell’attuale epidemia pandemica meriterebbe un approfondimento a parte.
Finalmente non mi sento solo. Nella mia ignoranza, queste cose le dicevo già venti anni fa, magari “avvantaggiato” dal fatto che le soffrivo sulla mia pelle d’imprenditore agricolo. Il tutto con buona pace delle associazioni di categoria. SIC…