A scorrere la successione dei comunicati stampa del governo Conte dopo l’annuncio dell’epidemia in Cina si ricava una precisa sensazione: l’Italia ha iniziato con lo spirito di parata (le dichiarazioni di Conte e Speranza sulla severità ed efficienza italiana), ha finito con lo sconforto di chi dichiara pressoché impotente di dover assistere allo sviluppo della malattia con qualche accorgimento. Sembra di vedere i vecchi medici di famiglia che dicevano: «La febbre deve sfogare».
L’Italia razzista, che si aspettava il virus dal solito cinese, ha scoperto presto di avere il virus in casa da settimane (come ha fatto capire a dentri stretti il professor Galli, primario di infettologia del Sacchi, sin dai primi giorni).
La caratteristica delle politiche del governo Conte è stata quella di seguire gli eventi anziché prevenirli, che è come pensare di ammazzare le cavallette (anche loro arriveranno e nessuno se ne sta occupando) dopo che hanno invaso i campi.
Serve ricordare che c’è stata più di una settimana nella quale i leader dei partiti, in testa Zingaretti, dicevano in televisione «Niente panico. Potete spostarvi dappertutto fuorché nella zona rossa». E poi è accaduto che Zingaretti, dopo una manifestazione a Milano, si è ammalato. Non solo. Già dopo i primi casi a Roma e nel Lazio, la Regione Lazio (cioè lo stesso Zingaretti) avrebbe potuto vietare, e non l’ha fatto, i raduni pubblici così che abbiamo visto tutti la movida romana celebrare se stessa impavida al virus (che impavidamente si è diffuso).
Sin da subito vi è stato chi ha fatto notare che la sanità lombarda, tutta orientata sul privato, con i posti di rianimazione centellinati per il post-operatorio e per i cronici, non avrebbe retto l’urto e che, viceversa, la prima linea che anche lì avrebbe resistito, come sta resistendo, è quella pubblica. È un fatto che dovrebbe far riflettere i tanti copioni imbecilli, di Destra e di Sinistra, che hanno parlato per un decennio in Sardegna del modello lombardo.
La vena propagandista del comunicato stampa prima di tutto ha portato ad annunciare le misure restrittive prima di assumerle (e poco conta che a farle filtrare sia stata una regione; quando si fronteggia un’epidemia e si ha tutto il potere di farlo, quando la decisione è evidentemente matura, la si deve assumere prima di comunicarla, non dopo). L’effetto è stata la fuga e la diffusione incontrollata. Molti siti hanno ricordato Manzoni: «Sono partiti prima della mezzanotte. Nonostante le grida che proibivano di lasciare la città e minacciavano le solite pene severissime, come la confisca delle case e di tutti i patrimoni, furono molti i nobili che fuggirono da Milano per andarsi a rifugiare nei loro possedimenti di campagna».
In tutto questo si è inserita la Regione Sardegna in grave stato confusionale e, esattamente come il governo italiano, impegnata non a prevedere gli sviluppi, ma a tamponarli quando sono già avvenuti, a buoi scappati.
L’invasione dell’agro e dei villaggi turistici in modo disordinato e caotico è una responsabilità della Giunta. Grave. Altro che misurazione della temperatura ai porti (uno sì e l’altro no)!
La sufficienza ostentata sull’efficienza dei posti letto di Terapia Intensiva è una follia. Oggi anche l’Anci chiede di aumentarli.
L’approssimazione delle procedure negli ospedali è una grave responsabilità della Giunta regionale, grazie alla quale l’infezione è entrata negli ospedali, è sconcertante, segno di un piano di prevenzione non adeguato e non severamente attuato sin dalla rete dei medici di base.
Il Bilancio della Regione andava modificato da settimane, non velocemente in queste ore e senza uno straccio di idea seria per sostenere il sistema produttivo (alla pestilenza segue sempre la povertà, e alla povertà la ribellione). Invece si è aspettato per verificare se si poteva salvare una manovra finanziaria ordinaria.
Mentre accadevano le cose straordinarie di questi giorni, la maggioranza si è impegnata molto nel ritorno al passato in agricoltura (dove non sta girando un soldo), in sanità (scontro in commissione tra Riformatori e Oppi, col ritorno agli anni Novanta), in Abbanoa (consiglio di amministrazione per quote politiche, lo stesso modello che portò la società di fronte al tribunale fallimentare), nel Piano Mancini con l’idea di bocciarlo (la Regione boccia se stessa e lascia Olbia senza protezione), negli enti regionali e nell’organizzazione regionale con il tripudio di posti di sottogoverno. Uno scempio che si è svolto ad opposizione soft, lenta, molto social e poco giusta.
In queste situazioni è però inutile indignarsi. Bisogna essere migliori di chi ci governa. Ciò che di più grave sta accadendo è il diffondersi dell’odio. Il malato va soccorso, nelle forme indicate dalle istituzioni, ma soccorso, non abbandonato. Il vicino di casa non è un nemico da guardare in cagnesco. Il negoziante della nostra via ha bisogno che continuiamo a comprare i prodotti da lui, magari andandoci con la mascherina e prestando molta attenzione. La palestra in cui ci alleniamo ha bisogno che noi continuiamo a pagare la rata mensile anche se non ci alleniamo. Il pastore dal quale compriamo i prodotti che ci piacciono ha necessità che continuiamo a farlo.
Questo significa essere persone. Essere migliori dei pavoni al governo, non farsi schiacciare dalla paura, mantenere lo sguardo attento agli altri. È l’antidoto al male che in molti sperimentarono nei lager nazisti: sopravvisse chi si radicò un’idea di bene nel cuore, non si fece terrorizzare, continuò a soccorrere il vicino di branda.
Sì, non ci siamo capiti. Non parlo dell’abnegazione dei medici, ma dell’efficienza dei piani. Vedremo se avrò torto.
Non concordo caro Paolo sulla tua illustrazione dei fatti, soprattutto quando parli di “un piano di prevenzione non adeguato e non severamente attuato sin dalla rete dei medici di base”. Stiamo parlando di una pandemia a livello mondiale.
Io e i miei colleghi, non solo in Sardegna, in Italia, ma, se vuoi in tutto il mondo, ci adoperiamo con abnegazione senza sosta, mattina, sera e notte (non dimentichiamo il servizio della Guardia Medica che pure ho svolto nei primi anni della mia professione) per dare il nostro contributo per aiutare tutti quanti si rivolgono a noi.
Come vedi uso il termine “aiutare” sinonimo di “soccorrere, sostenere, sorreggere, assistere”.
Aiutare, non in maniera astratta, ma come deve fare un medico; e scusa se ti dico che sono un pò stanco ma domani mattina,e dopodomani e dopo ancora, sarò nel mio ambulatorio a fare il mio dovere.
Ma, se ho interpretato male le tue parole, ti chiedo scusa fin d’ora e ti abbraccio, corona-virus permettendo.
Saluti Paolo . Concordo con il tuo articolo .
Siamo agli anni 90 …..