Per chi volesse approfondire l’argomento della strage Piazza Fontana, di cui ricorre il tristissimo cinquantesimo anniversario, ci sono tanti libri a disposizione. Un ragionato elenco lo ha stilato nell’ultimo numero del Domenicale del Sole 24 Ore Raffaele Liucci (“Il vero ‘mostro’ di Piazza Fontana”), che però omette l’imprescindibile “Piazza Fontana” di Marco Boatti, recentemente ripubblicato da Einaudi con una nuova prefazione, un libro esemplare e rigoroso oltreché di straordinaria leggibilità, capace di guidare agilmente il lettore nel folle labirinto costruito dallo Stato per impedire la condanna dei colpevoli.
Già, i colpevoli. Non ci sono: nessuno ha pagato.
Eppure, nonostante questo, di tutti i misteri italiani Piazza Fontana appare ai miei occhi come il meno misterioso. Le verità emerse in sede storica sono infatti più abbaglianti delle ombre giudiziarie che ancora permangono e sulle quali gli organi di informazione (soprattutto di destra) continuano ad indugiare, quando anche non fanno una aperta e raffinatissima manipolazione informativa, segno che la ferita è ancora aperta e che molti ambienti hanno ancora bisogno di essere coperti.
Perché su Piazza Fontana in realtà sappiamo tutto: il problema è che non abbiamo ancora il coraggio di dirlo.
A spezzare questa congiura del silenzio è stato, almeno per me e nel piccolo di una presentazione di un altro libro molto interessante scritto da Paolo Morando sugli attentati dinamitardi che a Milano precedettero la strage (“Prima di Piazza Fontana”) lo storico Angelo Ventrone.
Ho avuto modo di sentirlo qualche mese fa a Conversano in Puglia, nel corso del festival Lector in Fabula. Una relazione molto interessante la sua, in cui il docente all’Università di Macerata non ha avuto problemi ad indicare apertamente e senza tanti giri di parole gli americani come i veri ispiratori della strage di Piazza Fontana.
“Niente di nuovo”, dirà qualcuno di voi. Ma non mi sembra che questo elemento, che molti storici che hanno studiato le carte ormai ritengono assodato, faccia parte oggi del dibattito in corso sulla strage milanese cinquant’anni dopo.
Ma c’è qualcosa di più e che va oltre le responsabilità statunitensi, che a mio avviso merita di essere sottolineato per dare un senso e rendere così meno amaro un anniversario come questo.
Cos’è stata Piazza Fontana se non la contrapposizione tra parti dello Stato che volevano giustizia e parti dello Stato che hanno cercato in tutti i modi di ostacolarla? Purtroppo hanno vinto queste ultime: forze di polizia, carabinieri, magistratura e servizi segreti hanno collaborato per inquinare pesantemente le indagini e giungere così ad un nulla di fatto.
Questo meccanismo è rimasto un unicum nella nostra storia repubblicana? Purtroppo no. Lo abbiamo visto in azione in altre terribili stragi (tutte di stampo neofascista) che hanno insanguinato il nostro paese fino ai primi anni Ottanta, e purtroppo lo vediamo in azione ancora oggi.
Sì, ancora oggi.
Vi propongo due interviste: la prima al magistrato Pietro Calogero, la seconda a Fiammetta Borsellino.
Ascoltatele e ditemi: ciò che è avvenuto con la strage di via D’Amelio e l’osceno depistaggio che ha portato a false condanne (è in corso in queste settimane il processo, ma nessuno sembra accorgersene) non ricalca forse in maniera precisa ciò che è avvenuto in Piazza Fontana?
Anche nell’Italia di oggi ci sono servizi segreti, magistratura e forze di polizia schierate a difesa dell’indifendibile. A difesa dei colpevoli.
Non cinquant’anni fa, ma oggi. Non in un’Italia in bianco e nero in cui si fronteggiavano forze politiche ormai scomparse, animate da tensioni di cui abbiamo quasi perso anche il ricordo, ma nell’Italia di oggi.
Di oggi.
Di ciò si dovrebbe parlare in questo dicembre 2019: per non trasformare l’anniversario nel solito inutile rituale retorico, ma per pretendere risposte a domande che si fa fatica perfino a porre.