Il primo punto è che i media sardi non riescono a raccontare ciò che con grande evidenza era sui giornali italiani nei giorni scorsi: il Mezzogiorno e le Isole sono in recessione cronica. Due milioni di persone hanno lasciato il Sud negli ultimi dieci anni. Non si rimedia a questo esodo biblico con i pannicelli caldi della rassicurazione democristiana o con l’anglobrittanismo darwinista alla Pigliaru (junior), cioè con l’applicazione meccanica nell’isola delle ricette della London School of Economics. O si cambia il sistema dei poteri, il sistema fiscale, il sistema dei trasporti, o l’Isola si svuoterà
I paesi dell’interno si stanno svuotando a un ritmo molto più sostenuto di quanto accadeva nel passato e ciò accade per i privilegi strutturali, amministrativi e dei servizi di cui godono le poche città sarde. Le Lannou lo aveva detto fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, ma siccome è ormai possibile laurearsi senza studiare, si continua a ignorare che questo è il problema strutturale della Sardegna.
L’Eurallumina sta al Sulcis come l’Ilva sta a Taranto. Eppure, la vertenza gode della sola atttenzione di un giorno. Tutte le politiche energetiche finalizzate all’industria sono fallite. L’unica politica energetica che sopravvive è quella che era stata pensata, e solo in parte realizzata anche dal sottoscritto grazie al lavoro del professor Damiano, contro le politiche di Enel e di Terna. Ma si è tornati indietro, si è tornati in ginocchio a chiedere pietà.
Oggi, con toni trionfalistici sulla Nuova e un po’ più prudenti sull’Unione si pre-annuncia la fine della vertenza Entrate, che dovrebbe però essere richiamata ‘vertenza accantonamenti’.
Si parla di annunci e già qualcosa non torna.
Primo: lo Stato sta accantonando risorse per fronteggiare il contenzioso con le Regioni a Statuto speciale. Se ne deduce che immagina di ‘trattare’ l’uscita dal contenzioso. Come? L’Italia non ha mai saldato i debiti in un’unica soluzione e in genere lo ha fatto concedendo minori flussi di contribuzione piuttosto che disponendo maggiori suoi flussi in uscita.
Se è vero, come sembra, che lo Stato immagina di sanare il proprio debito consentendo alla Sardegna di accantonare 150 milioni in meno all’anno, di fatto è come se Ras avesse un debito di 100 annuale verso lo Stato, a fronte di un credito maturato di 300, e il nostro buon Stato si concede (cioè lo concede a se stesso) di pagare il suo debito abbassandoci la rata annuale da 100 a 90. È qualcosa, ma è diverso da incassare in una volta il proprio credito.
Infine c’è la promessa di 1,5 miliardi di investimenti. Qui la puzza di bruciato aumenta, perché l’Italia che sta recuperando il buco prodotto dal Governo Conte 1 con nuove tasse, di cui ha riconosciuto l’esistenza solo quando il Presidente dell’Emilia Romagna ha alzato la voce (secondo la migliore tradizione Pd, per il quale le cose esistono solo se chi le dice è forte o se la vittima è il Pd stesso) non ha la forza finanziaria per impegnare 1,5 miliardi solo sulla Sardegna. A mio avviso quel miliardo e mezzo è ancora il miliardo e mezzo del Patto per la Sardegna firmato da Pigliaru e Renzi; o forse ne è una riverniciatura. Staremo a vedere.
Infine, l’archeologia. Per capirne qualcosa occorre essersi laureati bene. Se i soldi verranno gestiti dalle Sovrintendenze e secondo le richieste degli enti locali, è ragionevole che serviranno veramente a poco. Cose già viste, purtroppo. Tuttavia si può avanzare una proposta: stanziate subito 500mila euro per comprare l’intera area di Mont’e Prama, vigneto e aree del Vescovado compresi. Varrebbe una legislatura e forse anche una laurea honoris causa, che non si nega quasi a nessuno.