L’attuale situazione politica sarda è simmetrica a quella italiana: l’opposizione non riesce a rappresentare una visione alternativa a quella del governo Solinas.
Solinas, dal canto suo, non fa niente (a parte un passo avanti e tre indietro sul Mater Olbia), applica l’antico adagio, attribuito dagli storici a Mario Floris (ma non ho alcuna prova che sia così) secondo il quale per durare non bisogna fare nulla (a parte gli autoritarismi in agricoltura, le poche trasparenze del sito trasparenza, il gran pasticcio della continuità territoriale, il disordine e l’inefficienza sistemica in sanità).
Tuttavia l’opposizione, complessivamente intesa, è sicura di far bene la sua parte semplicemente esistendo e dichiarando di essere l’opposizione. Per il resto si tratta di aspettare che gli umori elettorali cambino e il vento riprenda a gonfiare le proprie vele.
Si chiama conformismo istituzionale o, se si vuole, recitazione politica concordata.
Questa è la politica sarda: schieramento, ancoraggio, attesa e ripresa.
Poche volte, merito.
D’altra parte questa è anche la politica italiana ed è il vero motivo dell’opacità della sua storia.
La politica ha sempre avuto tante definizioni, una altissima di Croce, una rivoluzionaria e -allora- autoritaria di Gramsci, una volgare e cruda di Rino Formica, e chi più ne ha più ne metta.
In Italia la politica è soprattutto ed essenzialmente tattica, cioè posizionamento.
Poiché lo spazio politico non è infinito, ma raramente è occupato solo da una forza, si scommette sullo spazio contrapposto. Scelta la posizione, è facile definire i contenuti: sono esattamente gli opposti di quelli dell’avversario.
Questo giochino propagandistico funziona bene quando si sta molto tempo al governo o molto tempo all’opposizione. Non funziona per niente quando si passa in men che non si dica dal Governo all’opposizione e viceversa.
Infatti, oggi consuma drammaticamente il Pd, perché si sta rimangiando costantemente tutto ciò che diceva fino ad avant’ieri (sui migranti la situazione è imbarazzante) e si è intestato politicamente una manovra finanziaria che aumenta le tasse indirette (cioè le più ingiuste socialmente) per pagare il debito fatto dal governo precedente (presieduto dal premier attuale), cui il Pd stava all’opposizione, con Quota 100 e Reddito di cittadinanza.
Ha consumato Renzi, che da rottamatore (cioè da massimo speculatore della suprema delle rendite di posizione, il ‘nuovo’ contro il ‘vecchio’) si è trovato rottamato e oggi, dalla periferia dell’Impero, sta provando a cercare una collocazione politica non di posizione ma di contenuto (sempre che glielo lascino fare, perché il Pd sarebbe capace di dare l’Italia alla Lega piuttosto che vedersi svuotato da Italia Viva che, onestamente, ha più idee e più modernità del Pd).
O ancora, si prenda il caso di Giuseppe Conte.
Diventa Presidente del Consiglio perché né Di Maio né Salvini potevano permettere che uno di loro due fosse premier. Impara la lezione del vantaggio di ‘essere nessuno’. Quando Salvini apre la crisi per l’incapacità della Lega di essere fedele alle responsabilità di governo anziché alle ambizioni di dominio (in poche parole, Salvini voleva andare a elezioni per non fare la finanziaria e svelare il fallimento di Flat tax, Quota 100 e per evitare che gli italiani comprendessero l’isolamento internazionale nel quale la ferocia verso i migranti e le disinvolture con i Russi avevano cacciato l’Italia), Conte capisce che l’unica possibilità di non andare al voto era l’accordo Cinquestelle e Pd, ma capisce che ancora una volta ‘essere nessuno’, cioè essere posizionato in una ‘terra’ diversa da quella dei Cinquestelle e del Pd sarebbe tornato utile. Conte è una posizione, non un contenuto.
Quale è il risultato di questo tatticismo esasperato? Che c’è un Primo Immobile: lo Stato. L’Italia si regge sui Carabinieri, diceva in privato Cossiga, l’ultimo Presidente della Repubblica che fu radicalmente fedele alla Costituzione (lo dico io che non lo apprezzavo e non lo apprezzo neanche un po’) e che per farlo dovette fingersi pazzo più di quanto fosse in realtà. Le strutture burocratiche, le strutture di polizia, il potere giudiziario (non riesco a togliermi dalla testa che Cocco Ortu si liberò del padre di Gramsci, che ne aveva intaccato l’egemonia in un collegio elettorale, mandandolo in galera con un’accusa infamante), l’esercito, le grandi società di Stato, la Cassa Depositi e Prestiti, l’Agenzia delle Entrate, questa è la vera Italia. Immobile. Le politiche delle forze di posizionamento generano debito pubblico (nel 2018 è cresciuto oltre il 34% del Pil) per soddisfare improbabili promesse elettorali, le politiche di apparato mantengono lo Stato e lo alimentano.
È per questo immobilismo che l’Italia non riesce a pensarsi in chiave federalista, con fisco equo e diversificato, con opportunità diffuse, con autentica tutela dei diritti individuali. È per lo scimmiottamento di questa Italia, che è stato ben rappresentato in Piazza del Popolo a Roma durante la manifestazione della Lega, che la Sardegna è paralizzata, con un ceto microscopico che vive della rendita di posizione dell’essere a Destra o a Sinistra.