“Mi ordinarono di staccare la registrazione di Vincenzo Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati”. Questa la confessione resa avantieri, di fronte al Tribunale di Caltanissetta, da Giampiero Valenti, poliziotto incaricato di intercettare tra il 1994 e il 1995 il pentito Vincenzo Scarantino, collaboratore dei magistrati incaricati di indagare sull’omicidio Borsellino, le cui dichiarazioni furono alla base del più clamoroso depistaggio della storia giudiziaria siciliana, quello sulla cui base vennero celebrati i processi cosiddetti Borsellino 1 e Borsellino 2 e condannate persone estranee alla strage. I pentiti manovrati furono tre: Scarantino, Candura e Andriotta. La verità emerse dopo il 2008 grazie alla collaborazione di Gaspare Spatuzza. I falsi pentiti hanno tutti confessato, accusando soprattutto poliziotti di un non bene identificato gruppo Falcone-Borsellino (e qui il gioco degli specchi aumenta) di averli indotti a depistare.
Ora è in corso il processo per capire chi organizzò il depistaggio e che ruolo ha avuto la magistratura.
Se qualcuno ha piacere di farsi un quadro, può leggere la relazione finale della Commissione d’inchiesta del Consiglio regionale della Sicilia. Non è scritta benissimo, ma è utile.
In questo quadro si collocano le dichiarazioni clamorose del poliziotto Giampiero Valenti (Repubblica le ha confinate a pagina 29 dell’edizione di ieri!). Che così prosegue, dando uno spaccato del mondo sconosciuto dei pentiti e di quelle che un tempo erano definite le ‘fonti confidenziali’:
“Di Ganci mi disse di staccare l’intercettazione perché Scarantino doveva parlare con i pm” .
“Di Ganci mi disse poi di riavviare l’intercettazione dopo che Scarantino aveva finito di parlare con i magistrati”.
Questo è solo uno scorcio della ferocia d’Italia, ma è significativo del fatto che c’è un mondo nerissimo dietro tutto ciò che appare; profondamente nero e pericoloso per le persone comuni.