La vittoria nel bando regionale fu assicurata dalla impostazione innovativa della ricerca guidata da Gaetano Ranieri, ordinario di geofisica dell’Università di Cagliari, e da Raimondo Zucca, ordinario di Storia e Archeologia del Mediterraneo antico presso l’Università di Sassari.
Gli scavi del 1979 Infatti gli scavi del 1979, tramite saggi effettuati a Sud e a Est del filare di tombe di M. Prama, avevano convinto il Direttore dello scavo di allora, Tronchetti, di avere individuato i limiti del sito di Mont’e Prama.
Le positive esperienze archeologiche comuni in Sardegna e Marocco dei professori Ranieri e Zucca, avevano dimostrato l’applicabilità dei vari metodi geofisici, con risultati rilevantissimi nelle anomalie definite dai tipi di ricerca combinati geofisico e archeologico, così come si propone in tutto il mondo.
Lo scavo del 2014 Lo scavo iniziò il 5 maggio 2014, 35 anni dopo la conclusione dell’ultimo scavo di Tronchetti.
Il lavoro alacre di Gaetano Ranieri e della sua squadra nel campo geofisico e, per l’ambito archeologico, di Alessandro Usai e Emina Usai per la Soprintendenza, di Raimondo Zucca, Paolo Bernardini e Pier Giorgio Spanu per l’Università (con tutti gli allievi della Scuola di Specializzazione in beni archeologici di Oristano, guidati dalle archeologhe del Consorzio Uno Luciana Tocco e Adriana Scarpa, e con Dottori di ricerca, come Barbara Panico, e bioarcheologi, condotti dal collega professor Salvatore Rubino dell’ateneo sassarese), ha restituito un panorama di conoscenze straordinario, di cui si è dato conto in sede scientifica e divulgativa (volume a cura di G. Ranieri e R. Zucca, Mont’e Prama -I, ed. Delfino, Sassari 2015 e Atti della giornata dell’Accademia Nazionale dei Lincei dedicata alle nostre ricerche di Mont’e Prama, a cura di Mario Torelli, Roma 2016.
In base alle anomalie geofisiche principali e alle analisi sulle foto aeree e satellitari, si sono effettuati saggi di scavo in cinque quadrati (di 100 mq ciascuno) nel settore meridionale del terreno, di proprietà della Curia arcivescovile di Oristano, oggetto dei precedenti interventi di scavo.
I quadrati SE-B3-79 e SE-B3-89 I dati più rilevanti sono stati acquisiti nei quadrati SE-B3-79 e SE-B3-89 dislocati immediatamente a sud del sepolcreto meridionale scavato da Carlo Tronchetti nel 1979; qui le indagini geofisiche suggerivano, infatti, il proseguimento del giacimento archeologico, sia per quanto riguarda la successione delle tombe che la discarica dei frammenti di sculture.
Nello specifico, l’analisi geofisica ha mostrato, lungo l’asse NNE / SSO dei citati quadrati 79 e 89 e per una lunghezza di 20 metri e una larghezza di circa 3 metri, una sequenza unitaria di anomalie che lo scavo ha rivelato corrispondere alla presenza di due betili troncoconici, di lastroni di copertura delle tombe, di numerosi frammenti di sculture in calcare, nonché di una serie abbondante di lastre spezzate e pietre brute.
Lo scavo condotto nel quadrato 89 dal giugno 2014 al gennaio 2015, ancora in corso mentre si scrivono queste pagine (la conclusione della prima fase delle indagini era prevista allo scadere del mese di marzo del 2015), ha dimostrato:
– la continuità verso sud sia del sepolcreto con tombe a pozzetto circolare semplice, sia della successiva monumentalizzazione dell’area con lastroni di arenaria sovrapposti ai sepolcri;
– l’erezione di betili tronco-conici in rapporto alle tombe;
– la continuità della c.d. discarica delle sculture, con modelli di nuraghe e sculture antropomorfe che si accumulano sui lastroni funerari e presso la strada che fu individuata nel 1979 ad occidente dei sepolcri.
Questi ultimi sono divisi in due settori, meridionale e settentrionale, con quattro tombe a lastrone ciascuno, provvisti di un betilo di m 2, 30 di altezza.
L’orientamento dei due “insiemi” è il medesimo (NNE /SSO), ma le tombe più settentrionali sono traslate di cm 72 verso ovest, rispetto all’altro gruppo; la strada funeraria, meno evidente in questo settore, fu colmata dai pezzi di statue e di modelli di nuraghe.
Il nuovo settore scavato nel quadrato 89 mostra scontati elementi di continuità con la situazione riscontrata negli scavi di Bedini e di Tronchetti ma anche interessanti differenze.
Le otto tombe Le indagini avviate nel 2014 nel settore a meridione dell’area indagata nel 1975, 1977 e 1979, hanno documentato una fascia di otto tombe, disposte su tre filari irregolari, a pozzetto semplice, con tumuletto di pietre conservato in cinque casi, destinate alla deposizione singola di individui inumati in posizione rannicchiata, che, a giudicare dalle ceramiche di pieno IX sec.a.C. restituite da due di essi sembrano costituire la prima sistemazione funeraria nel sito.
Gli stessi tipi di tombe a pozzetto, talvolta con il tumuletto di pietre di copertura, in numero di diciotto, disposti ugualmente su tre filari, furono riscontrati nel corso degli scavi di Alessandro Bedini (1975) nel settore settentrionale dell’area.
Ugualmente lo scavo di Tronchetti nel 1979, nell’area centrale, evidenziò una serie di deposizioni di inumati in pozzetto ad oriente delle tombe a lastrone, ma una sola di esse poté essere scavata.
L’impressione generale è che ci si trovi davanti ad un fenomeno di progressiva concentrazione e agglutinazione di sepolcri in un’area evidentemente marcata da un forte potere di richiamo ideologico.
Le cinquantasette tombe Ad occidente della fascia di tombe a pozzetto si localizza lungo l’asse non regolare NNE / SSO una sequenza di cinquantasette tombe con copertura a lastrone, divise in tre gruppi discontinui.
Vi sono in dettaglio diciassette tombe a pseudo-cista di inumati singoli rannicchiati, con lastroni di copertura in arenaria (in gran parte perduti), nel settore settentrionale (scavo A. Bedini), delimitate a SSO da una lastra posta in direzione E/O. Segue, dopo una interruzione di m 1, 60, una seconda serie di trenta tombe a pozzetto con lastrone delimitate da lastre a nord e a sud (scavo Tronchetti), marginate immediatamente ad est da tre pozzetti con lastrone in corrispondenza delle tombe 28-29-39 e da un ulteriore pozzetto coperto da lastrone ad est della tomba 13.
Alla lastra di delimitazione sud del gruppo di tombe dello scavo Tronchetti succede un ampio spazio sgombro (m 10, 33), cui fanno seguito, introdotti da una lastra di delimitazione, due nuovi gruppi (scavo 2014) con il medesimo orientamento NNE/SSO, composti rispettivamente di quattro e di sei tombe a pozzetto con lastrone, il secondo dei quali è traslato di m 0, 97 a est del primo.
L’accumulo delle sculture, in vario modo frammentate e con andamento parallelo rispetto all’allineamento funerario, si dispone sia di fronte ai sepolcri, sia invadendo lo spazio occupato dai lastroni sovrapponendovisi nel settore centrale e settentrionale.
Il sepolcreto Le ricerche precedenti (scavi Bedini e Tronchetti) avevano evidenziato una prima fase di sistemazione funeraria a Mont’e Prama, databile al principio la prima età del Ferro (900 / 850 a.C.), composta da una serie di tombe a pozzetto circolare, scavate nel cortice calcareo del miocene superiore, che in alcuni casi conservavano la copertura di pietrame.
Questo sepolcreto era stato individuato per circa 44 metri di lunghezza, ad oriente della via funeraria N/S e del filare più occidentale delle più recenti sepolture con lastrone, sia da Alessandro Bedini (18 tombe disposte su vari filari) che da Carlo Tronchetti (circa 10 elementi).
A questo stesso sepolcreto devono assegnarsi, per ora, le otto tombe a pozzetto, di cui alcune con tumuletto di copertura, individuate nei quadrati 79 e 89 dei nuovi scavi 2014.
Le tombe a pozzetto Nel settore più occidentale del cortice dello strato calcareo si dispongono invece i lastroni di copertura delle tombe a pozzetto che prospettano sulla strada e che proseguono l’allineamento individuato parzialmente negli scavi precedenti con alcune significative divergenze: ne abbiamo ricordato l’associazione in gruppi di quattro, chiusi in distinti recinti e la connessione con i betili.
Il lastricato Secondo la lettura di Alessandro Bedini, questi lastroni apparterrebbero a un lastricato, posteriore alle tombe antiche a pozzetto, solo in parte conservato, su cui erano impostate le basi delle statue calcaree. Il problema è costituito dall’estensione di questo lastricato (meglio conservato nel settore settentrionale degli scavi di A. Bedini rispetto all’area del sepolcreto di C. Tronchetti), da immaginarsi come un piazzale ovvero come una basis allungata che fiancheggiava la via; i dati dei nuovi scavi, per un fronte di 10 x 10 m N/S non hanno reso la minima evidenza di un’area lastricata.
Abbiamo ora la conferma sia della continuità verso sud del sepolcreto di I fase, sia della monumentalizzazione dell’area funeraria con i lastroni di arenaria e la disposizione dei betili troncoconici, dei modelli di nuraghe e delle sculture antropomorfe.
I betili Per quanto attiene i betili scoperti nel 2014, essi sono i più alti (m 2,30) di tutta la serie dei betili di Mont’e Prama (e dell’intera Sardegna) e sono provvisti di una concavità alla base inferiore per l’inserimento in un basamento distinto.
I modelli di nuraghe I modelli di nuraghe ripetono in quattro esemplari l’iconografia del nuraghe quadrilobato, raddoppiando i tre esempi già noti.
Si ha inoltre un esemplare di modello di nuraghe di grandi dimensioni a terrazzo quadrato, analogo all’esemplare scoperto nel 1979 negli scavi di C. Tronchetti.
Altri modelli di nuraghi monotorre di grandi dimensioni a terrazzo circolare costituiscono varianti di esempi già noti.
Le sculture antropomorfe Per quanto riguarda le sculture antropomorfe abbiamo una testa e un torso di pugilatore, probabilmente non connessi fra loro, una testa di guerriero o di arciere, un busto con i tronconi delle gambe di un guerriero, frammenti di corazze, di archi, di faretre di arcieri, un frammento di base con piede nudo, e, dato rilevantissimo per la sua novità di attestazione, una base di statua con piedi che calzano sandali e otto frammenti di piedi calzati con sandali.
Tra i vari frammenti si stacca una possibile porzione di testa con elmo costituito da una calotta, delimitata inferiormente da due fasce anulari di appliques coniche, affini all’elmo del bronzetto n.94 della classificazione di Giovanni Lilliu nell’opera Sculture della Sardegna nuragica.
I due nuovi modelli Ma il ritrovamento più eclatante è il recupero di due sculture la cui iconografia era finora assente nel repertorio delle rappresentazioni antropomorfe di Monte Prama.
I manufatti, conservati dalla testa ai polpacci, e in probabilissima connessione con le basi con i piedi calzati di cui si è detto, rappresentano un personaggio che porta il braccio destro infilato in un guanto corazzato, a toccare uno scudo allungato e avvolgente sostenuto con l’altro braccio. Le lunghe trecce che scendono ai lati del volto, la veste stretta e i calzari che si possono connettere alle sculture, insieme alla particolare tipologia del portatore di scudo, avvicinano gli esemplari alla iconografia del famoso bronzo di Cavalupo di Vulci che offre anche un prezioso riferimento cronologico: la seconda metà del IX sec. a.C.
Non meno significativo è il ritrovamento, a fianco ad una delle sculture appena descritte, di un elemento in arenaria che presenta a rilievo lo schema di un volto umano riassunto nell’accoppiamento del naso e delle profonde arcate orbitali e sormontato da una sorta di cresta che sembra la riproduzione di un elmo, simile ai cippi di guerrieri di Ossi e Viddalba studiati da Fulvia Lo Schiavo.
La distruzione delle statue Come si è detto, le statue furono distrutte e gettate nella strada sottostante, insieme a pietrame vario, terra e materiale archeologico della I età del ferro e di età punica (IV sec.a.C.), dopo l’azione volontaria del fuoco che si appiccò anche alle fratture causate dalla distruzione.
Fra i reperti di questa discarica si segnalano frammenti di anse di brocchette askoidi anche con decorazione a chevrons multipli o ornato plastico (forcella), tazze carenate di cui una con una applique foggiata a pugnaletto ad elsa gammata, vasi a collo, grappe in piombo di restauro di ziri e un bronzetto integro rappresentante una fiasca da pellegrino tetransata con le corregge di cuoio passanti. Il bronzo appartiene a una serie attestata a Orune-Su Tempiesu, Orani-Nurdole, Vetulonia-Cortine (due esemplari), Populonia-San Cerbone e da una località sconosciuta del Sinis (tre esemplari di cui uno identico al nuovo esempio di Monte Prama).
Il santuario Il sito archeologico di Mont’e Prama non è certamente limitato all’area funeraria monumentalizzata con la posa in opera di un lastricato e di una serie di sculture; è infatti da presumere che, oltre all’area funeraria, vi siano strutture di un santuario che incorporava la necropoli, forse in rapporto ad un culto eroico.
Gli scavi del 2015-2016 La Soprintendenza ha scavato nel 2015-2016 per rileggere ampiamente l’area della Confraternita del Rosario a Mont’e Prama, ottenendo dei magnifici risultati.
Nel 2016 sono stati eseguiti per la prima volta saggi di scavo nelle aree esterne al terreno della Confraternita in direzione sud, nord e nord ovest ed in tutti i casi, le “predizioni” delle anomalie geofisiche sono state confermate dagli scavi.
Nel 2017, nell’area di Mont’e Prama-Cabras, a cura della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Città metropolitana di Cagliari e delle province di Oristano e del Sud Sardegna, dell’Università degli Studi di Sassari- Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici della sede di Oristano, Consorzio Uno di Oristano e Casa Circondariale di Oristano- Massama, è stato condotto un nuovo scavo archeologico dal 1° settembre al 31 ottobre.
Il finanziamento è stato assicurato generosamente dalla Fondazione di Sardegna.
La ricerca ha visto la partecipazione degli archeologi della Soprintendenza (Alessandro Usai), dell’Università (Raimondo Zucca, Pier Giorgio Spanu), del Consorzio Uno (Adriana Scarpa, Luciana Tocco), con gli allievi della Scuola di Specializzazione con la organizzazione affidata dell’archeologa Barbara Panico. Per conto della Casa Circondariale, retta da Pier Luigi Farci, hanno partecipato Marco Contini e Peppino Mele.
Cinquanta nuove tombe Lo scavo nell’area funeraria ha rivelato cinquanta nuove tombe a pozzetto con tumuletto di pietre di copertura, in gran parte scomparse, estese quasi esclusivamente nel settore ad oriente della via funeraria, con una tomba a pozzetto, finora unica, nel settore occidentale.
La rampa della strada L’indagine ha anche restituito la rampa di discesa alla strada funeraria a partire da est.
Nuovi modelli Nella discarica accumulata sulla strada si sono acquisiti frammenti scultorei di grande interesse, tra cui il busto di un nuovo arciere, un arto inferiore con ferite profonde, una spada in calcare, frammenti di arco, di un piede con sandalo, etc.
Eccezionale un frammento di bronzetto, ridotto alla mano tesa nel gesto di preghiera con un braccialetto al polso, che richiama strettamente l’iconografia del “sacerdote militare” di Cavalupo, cui si connettono le due statue in pietra scoperte nel 2014.
I saggi di scavo del 2018 Nel 2018 la Soprintendenza ha effettuato nuovi saggi nelle aree a nord e a nord ovest del terreno della Confraternita, individuando nuove testimonianze funerarie e strutturali di Mont’e Prama.
L’interpretazione del territorio Ritornando agli articoli recentissimi della Nuova Sardegna, dobbiamo osservare che, per quanto attiene le interpretazioni delle anomalie geofisiche, è d’obbligo la verifica archeologica, ma gli scavi anche successivi al 2014 della stessa Soprintendenza e dell’Università di Sassari hanno evidenziato non solo una strada funeraria del IX /VIII sec. a. C., interessata dalla circolazione di carri (per il trasporto delle statue sbozzate e/o per il trasporto anche dei defunti?) in funzione di almeno 150 tombe di varia tipologia per la inumazione di giovani e giovani adulti di sesso maschile.
Le statue (solo maschili) sembrano in funzione delle tombe, ma vi sono alcuni edifici a pianta circolare e quadrangolare, per il quale ultimo la Soprintendenza evoca una funzione cerimoniale.
Un lungo muro in senso NNO / SSE a monte degli edifici, dotato di banchine o di rivestimento in blocchi squadrati di arenaria, si indirizza verso un’area, dove il Professor Lilliu nel 1977 vide un edificio con conci particolari che ritenne di funzione templare; altri conci attribuibili a edifici che potrebbero essere templari sono stati rinvenuti in alcuni settori di Mont’e Prama.
Sia la continuità della strada funeraria, sia il muro obliquo, sia l’edificio di Lilliu di possibile natura templare corrispondono ad anomalie individuate dalla geofisica di Gaetano Ranieri.
Cos’è dunque Monte Prama ?
Cos’è dunque M. Prama?
Non lo sappiamo!
La sua unicità e la sua grandiosità ci sconcerta.
Lilliu evocava per Mont’e Prama un ambito protourbano, ma su questo punto ci sono state numerose critiche.
Il discorso sull’avvento della forma urbana in ambito della Prima età del Ferro (IX-VIII sec. a. C.) e delle fasi successive sino al III secolo a. C. è un discorso scientifico che potrebbe riguardare, ad esempio, l’urbs di Cornus o anche per il VII sec. a. C., secondo l’ipotesi di G. Ugas (ripresa da M. Minoja), il centro di Tuppedili di Villanovafranca.
Le interpretazioni scientifiche, sostenute da una rigorosa metodologia, sono tutte legittime e le scomuniche e gli autodafé non rientrano nelle regole della ricerca!
Io vorrei solo che la vergognosa e fallimentare campagna “noi siamo eroi” voluta dal soprintendente Di Gennaro venisse cancellata e dimenticata. Non per il volerli chiamare eroi, che è “solo” un fallimento di marketing, ma perché è impregnata di livoroso pregiudizio nei confronti dei sardi, definiti poveri ignoranti in cerca di un passato glorioso che non esiste (testuale). Ben vengano poi articoli e approfondimenti come questo. Poi.