In fondo, ce lo meritiamo: nell’Ottocento i Savoia vendevano i nostri boschi; oggi il Nord si vende il nostro sole e il nostro vento e i Sardi votano Salvini e i suoi alleati sardi, laureati, semi laureati, diplomati e no, ma evidentemente non in grado, per difetto di studi e di impegno, di capire la battaglia fiscale della Sardegna. Ovviamente questo avviene anche perché l’opposizione è inesistente: vive di rendite politico-amministrative e aspetta il suo turno, ma non produce una visione alternativa. Sia la maggioranza della Destra sardo-italiana che l’opposizione della Sinistra sardo-italiana, hanno un’idea vaga di che cosa siano il diritto e lo Stato e di che cosa contino per l’equilibrio sociale, la giustizia, l’equità. Ciò accade perché non serve più pensare e capire: serve avere la battuta pronta e sbrigare faccende.
Mentre si consuma questa degenerazione sistematica degli studi e della politica, succede che 40 imprese (dico 40, non una o due, quaranta) producano energia rinnovabile in Sardegna e abbiano la sede legale in Trentino (peraltro, mi sembra che non sia rientrata in Sardegna neanche la sede legale della Tirrenia, né sia in Sardegna quella della Nuova Sardegna). Eccovi qui l’elenco delle imprese di energie rinnovabili con sede in Trentino e produzione in Sardegna. Di queste, solo una, a quel che so io, ha pagato l’Irap in Sardegna pro quota.
Perché in Trentino? Perché il Trentino ha attratto molte imprese con l’esenzione dall’Irap purché trasferiscano la sede legale lì.
Si potrebbe dire: bravi i Trentini, lo facciano anche i Sardi!
Ma il bello è che lo abbiamo già fatto: nel 2015, per le nuove imprese e per cinque anni. Tuttavia, questo mondo delle rinnovabili continua a pullulare di imprese con stabilimenti in Sardegna e sedi legali in Lombardia e in Abruzzo.
Prima di continuare bisogna aver chiara una cosa: quando un’azienda produce ricchezza in Sardegna ma ha la sede legale fuori della Sardegna, diviene molto più difficile per i Sardi capire e accertare se lo Stato versi alla Sardegna la quota delle tasse pagate da quella azienda allo Stato e spettanti alla Sardegna in base alla ricchezza prodotta dall’azienda nell’Isola.
Noi Sardi, comunque, abbiamo fatto anche di più sul piano del diritto.
Nelle Norme di attuazione dell’art.8 abbiamo previsto che le aziende che abbiano stabilimenti in Sardegna ma sedi legali fuori dalla Sardegna, paghino l’Ires (7/10 del versato spettano alla Sardegna) “prendendo in considerazione: a) il luogo di ubicazione degli impianti per le imprese mono-impianto che operano nella Regione; b) la distribuzione percentuale della base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive (cioè l’Irap), per le imprese multi-impianto, relativamente alla quota di produzione realizzata nel territorio della Regione“.
Al di là dell’oscurità delle parole, serve capire che l’Ires è legata all’Irap. Le aziende vanno in Trentino, sfuggono al controllo sardo, non pagano l’Irap che è uno dei parametri che serve a calcolare la quota dell’Ires che ci spetta, ma comunque registrano nella loro dichiarazione dei redditi l’incidenza della produzione degli impianti localizzati in Sardegna sull’imponibile complessivo su cui calcolano l’Ires, e poi la pagano.
A questo punto, chi stabilisce quanta Ires pagata da queste imprese in Trentino deve arrivare in Sardegna?
Le norme di attuazione dicono che è il Dipartimento delle Finanze della Repubblica italiana, cioè l’Agenzia delle Entrate italiana. Chi controlla che il calcolo sia giusto? Noi avevamo fatto nascere per questi e altri compiti l’Agenzia delle Entrate Sarda e la Corte Costituzionale italiana, quando ha dato via libera all’Agenzia delle Entrate Sarda ha detto espressamente che l’Agenzia delle Entrate Italiana deve informare i suoi rapporti con quella sarda in base al principio di leale collaborazione, scambiando in primo luogo dati e consentendone la verifica. Questa la sentenza.
E invece che succede?
Succede che in questi giorni si sta dicutendo la bozza di collaborazione tra l’Agenzia delle Entrate italiana e la Regione Sardegna. È il momento decisivo dell’avvio dell’Agenzia delle Entrate sarda. Invece l’Agenzia delle Entrate italiana ha proposto una bozza di convenzione che neanche fa cenno alle norme di attuzione del 2016 e tantomeno si adegua alla sentenza della Corte Costituzionale. Come dire: “L’Agenzia delle Entrate Sarde e la Regione Sardegna non ci rappresentano proprio meno di una cipolla; i conti li facciamo noi italiani e voi vi prendete i risultati che elaboriamo noi. E non rompete troppo le scatole a farci impazzire di lavoro per inseguire chi produce ricchezza in Sardegna e ha la sede legale fuori dall’Isola”.
Ecco cosa significa non dar troppo peso agli studi: non capire i momenti decisivi, non intuire gli incroci strategici, esattamente come avvenuto il 26 marzo col varo delle due continuità territoriali, una assistita, a Cagliari e a Alghero, l’altra no, a Olbia. Prosit!