L’Europa e le elezioni europee richiedono dei presupposti informativi e culturali minimi per essere capite e partecipate.
Se guardiamo ai dati sulla dispersione scolastica (il dato supera il 30% in Sardegna) e i risultati Invalsi in Sardegna (che possono essere contestati quanto si vuole ma sono comunque un indicatore di conoscenze – non di competenze – con buona pace dei tanti pedagoghi e pedagogisti che hanno egemonizzato le politiche educative in Italia dal ministero Berlinguer in poi) non possiamo non chiederci quanti sardi dispongano delle informazioni e delle competenze minime per partecipare consapevolmente alle elezioni di oggi.
La manipolazione di massa dell’età dei consumi consuma anche le migliori proposte politiche perché le costringe ad adeguarsi al destinatario, il cittadino medio, sempre meno informato, sempre meno istruito, sempre più arrabbiato.
Il pensiero indipendentista sardo ha tanti volti, tante forme e tanti contenuti: c’è chi dice ‘mai con i partiti italiani’ e chi dice ‘mai subordinati ai partiti italiani’, chi coglie che la questione sarda è essenzialmente una questione di poteri e dunque lavora sulla critica dello Stato, e chi invece lavora sulla motivazione e l’educazione dei Sardi all’appartenenza alla Nazione sarda; chi vuol fare la rivoluzione e chi semplicemente vuol fare salotto; ma comunque, proprio per la sua ricchezza, l’indipendentismo sardo è inattuale in senso nietzschiano, cioè è un sistema di contenuti di un’opposizione colta, anticonformistica e necessariamente non di massa. È possibile farlo diventare un movimento di massa? A mio avviso, ma ancora non ho approfondito in modo adeguato, solo all’interno di una crisi politica internazionale, ma ne riparleremo.
L’indipendentismo è pacifica e colta resistenza alla grande manipolazione nella quale siamo immersi, resistenza pacifica e legale che si declina in diverse scelte spirituali, sociali, culturali e politiche, ma comunque in scelte non di comodo che sollecitano l’intelligenza, il gusto di capire e la disponibilità al sacrificio.
Il suo avversario più subdolo è il folklorismo e il servilismo politico.
Nel primo caso si ha di fronte un atteggiamento colposo che induce tanti a confondere il ‘culto’ delle tradizioni con la coscienza della struttura della propria libertà. Si può saper tutto del canto in re e non essere curiosi di nulla rispetto al sistema amministrativo, giudiziario, educativo cui ci costringe la lenta agonia istituzionale italiana. In genere, questa innocenza folklorica, orgoliosa del colpo di glottide e del gonnellino mastrucato, ‘compra’ al supermarket delle idee politiche ‘del momento’, quelle che sembrano di maggior successo, chiedendo loro di volgere l’augusto sguardo di chi comanda alla mano tesa della Sardegna.
L’altro, il servilismo, è un atteggiamento doloso di ceti politici interessati a far carriera punto e basta e quindi a collocarsi nel vasto e sempre più instabile mondo delle cariche politiche dotate di rendita e di prestigio allo stesso modo nel quale una persona normale cerca un impiego. È un modello nato nel XVI secolo sardo e ancora molto diffuso.
I candidati alle europee riflettono queste opzioni generali e dunque un voto autonomo, personale, intelligente e critico che valuti le loro proposte è necessariamente inattuale, cioè è un voto di opposizione culturale, se si vuole elitario, ma di opposizione e di contrasto verso l’ennesima replica della semplificazione della realtà e della manipolazione delle masse. È un voto che dovrebbe vagheggiare un’Europa diversa, realmente euromediterranea, federalista, ambientalista e solidarista, tutti aggettivi profondamente divergenti dall’opportunismo italiano, ma tutti indicanti doveri civici per chi non voglia sprecare la sua vita e le sue scelte. Non dico che nessuno rispecchi federalismo, ambientalismo e solidarismo, ma affermo che è difficile diradare le cortine fumogene e individuare i candidati che potrebbero interpretare questi contenuti. La verità ci rende liberi davvero, ma la verità è una grandissima fatica che non tutti vogliamo sopportare.