Caro Paolo,
grazie per averci dato la possibilità di dire la nostra opinione sulla nostra terra. L’altro ieri, quando ho votato per nazione sarda, ho sentito di farlo anche per i miei.
Ho visto nonno Salvatore, zoppo per una ferita nella Grande Guerra, rimandato a casa e convinto di essere anche fortunato, perché molti in paese non erano più tornati.
Ho rivisto mio padre, a Torino, consumato dalla nostalgia, incapace di inserirsi in un ambiente in cui egli era sempre e comunque un inferiore, un “sardegnolo”.
Ho rivisto mia madre, con quel suo perenne smarrimento, con la sua seconda elementare, a sforzarsi di parlare un italiano corretto con noi, perché secondo lei questo ci avrebbe risparmiato la sofferenza del sentirci sempre degli esiliati (e poi, è vero, guarda caso sono proprio diventata un’esiliata, ma per scelta mia…).
I miei genitori, che come migliaia di sardi si sono visti strappare la loro identità per vivere sempre in una “terra di mezzo”, o meglio per soffocare continuamente quell’anelito che era così forte in loro.
Ho letto molti commenti a dir poco cattivi e meschini su questo voto e mi ha fatto male vedere questi sardi senza speranza, interessati solo ad avere assicurato il mangime nel trogolo ogni giorno: alla fine è gente molto più alienata dei miei, di noi che abbiamo portato il peso dello strappo. Noi abbiamo pagato un prezzo alto per il nostro essere sardi: arrivata a 57 anni senza timore di sbagliare posso dire che l’andare via dalla Sardegna è stato in assoluto il piu’ grande trauma della mia vita. Forse questi sardi non hanno in fondo mai dovuto pagare niente per la loro identità ed è per questo che alla fine sono loro i deboli.
Mi è sembrato di veder sorridere nonno, nonna, babbo e mamma, e una schiera di parenti e amici che non hanno mai potuto dire apertamente cosa sentivano… sì, ho votato anche per loro e ho sentito che questo voto appartiene anche a coloro che non sono più, perché lo hanno pagato così caro.
Grazie, comunque vada è un grande passo avanti!
– Manila