Non serve commentare metodi e parole con cui il Pd sta cercando di partecipare a questa fase politica. È tempo perso: soliti metodi, solite parole.
Serve invece notare con piacere che il primo scontro politico dei prossimi mesi cade sotto il segno della paura e del fugone, e quando si scappa una volta, si impara a scappare sempre.
Il 20 gennaio ci saranno le suppletive di Cagliari.
Accadrà che in tutta la Repubblica italiana ci sarà un solo collegio, Cagliari, in cui si ripeteranno le elezioni politiche: questo luogo coincide con l’area metropolitana o giù di lì. Che fa il Pd? Non impegna il sindaco metropolitano nelle elezioni che inevitabilmente parleranno della sua politica, ma lo sposta sulle elezioni sarde, e lo fa per giunta in perfetta solitudine, perché limita la coalizione a se stesso e impone il candidato.
Non contento di ciò, lo indica anche come successore di Pigliaru, cioè lo colloca nel continuismo delle politiche della sanità, della subordinazione ai governi italiani, della continuità con la buona scuola e con i referendum di Renzi.
Perché accade tutto questo?
Perché questa parte della sinistra ha da sempre una gerarchia inversa: prima il partito poi la Nazione Sarda (nel documento della direzione del Pd non c’è mai alcun riferimento alla Nazione Sarda; Pietro Pittalis li supera a destra e a sinistra). È un modo di ragionare perverso: prima noi (il Pd), poi loro (i Sardi). È un pensiero che affonda le radici nel carrierismo dei notabili Dc (“Prima noi”, dicevano i Cossiga e i Segni, “poi loro”, i Sardi) ma anche nella incommensurabile superbia dei capi del Pci che professavano la salvezza della Sardegna nell’unità con la classe operaia del mondo, opportunamente e solo se guidata da loro (Sergio Atzeni, ne Il quinto passo è l’addio ritrae questa oligarchia superba nel deputato scorreggione che trucca il concorso alla Rai).
Questa volta si cambia. Se molti sardi si pronunceranno per la Nazione, le elezioni sarde non saranno più sotto il segno della banale alternanza tra una proposta di centrodestra e di centrosinistra (il Pd, unico sopravvissuto), ma sotto il segno del cambio del potere, della struttura del potere, non di chi lo esercita.
Chiediamo aiuto a tutte le persone che pensano con la propria testa. È in atto la vecchia strategia per cui la destra e la sinistra italiane gridano “Al lupo, al lupo” per indurre i sardi a votare o l’uno o l’altro. Togliatti e De Gasperi alla fine cercavano voti l’uno per l’altro perché usavano la paura dell’altro per avere voti senza meritarlo. Così sta accadendo oggi in Sardegna. Se invece dal 6 al 16 dicembre in tanti diremo che la Sardegna è una Nazione, il passo successivo può essere che per me sia il carcere (sto preparando la rivolta fiscale e giovedì ne parlerò alla Corte del sole, ore 18, Sestu; sono un professore né vecchio né giovane, non ho più ambizioni personali, voglio combattere per cambiare la storia, non per cambiare la mia vita) ma per loro è il pensionamento, perché nascerebbe un mondo completamente nuovo. Chiedo aiuto a giovani e vecchi: facciamo la scelta giusta, non sotto il segno della paura, ma sotto il segno della nostra libertà. Ricordatevi come si vota.