Il tema e il movimento referendario promosso dai Riformatori Sardi e guidato da Roberto Frongia sul tema dell’insularità è la proposta di punta del mondo liberale e moderato della Sardegna.
Ha due caratteristiche principali: un contenuto politico e istituzionale ampio e una grande trasversalità di adesioni.
Sotto la bandiera dell’insularità vengono ricondotte molte delle battaglie storiche della Sardegna (quella dei trasporti, innanzitutto, quella fiscale, quella infrastrutturale, quella delle politiche europee ecc.).
Dentro il movimento referendario convivono senza traumi esperienze politiche come quella di Emilio Floris e di Luciano Uras, o di Gianfranco Ganau e Roberto Deriu, Alessandra Zedda e Stefano Tunis.
Non possono accadere fatti di questa rilevanza e rimanere privi di sviluppi.
La stessa trasversalità è accaduta a Ottana e sta accadendo per la preparazione degli Stati generali dell’agricoltura e dell’assemblea per la qualità della vita nei paesi in Gallura.
In sostanza si stanno moltiplicando i segnali di una volontà dei sardi di aggregarsi intorno a ciò che noi chiamiamo i nostri interessi nazionali, di schierarsi compatti a gestire il conflitto regolato con lo stato italiano, di varare riforme interne strutturali profonde e condivise, così da creare presupposti stabili di regolazione dei diritti, delle opportunità, degli interessi e dei mercati.
È evidente che se dinanzi a questi eventi si ricade poi, durante le elezioni regionali, nelle abitudini dell’articolazione del sistema politico italiano (Centrodestra, Centrosinistra, Movimento Cinque Stelle) si contraddice il cuore dell’unità civile, sociale e politica che si sta faticosamente cercando di costruire.
Durante le elezioni politiche dello scorso 4 marzo dicemmo, inascoltati, che se i sardi avessero votato propri candidati all’interno di un accordo nazionale sardo, la Sardegna sarebbe stata forza decisiva di Governo, con grandi ed evidenti vantaggi per i nostri interessi. Lo ridiciamo in queste ore, durante le quali l’Italia si confronta con le sue contraddizioni storiche e con una campagna elettorale mai finita.
Il tema è però più interessante e stringente rispetto alle elezioni sarde.
Noi crediamo che lo schieramento trasversale, che chiamamo ‘nazionale sardo’ ma che ognuno – federalisti, autonomisti, indipendentisti – può chiamare come meglio crede, purché ci si intenda sul contenuto, che si è appalesato ripetutamente in questi mesi, dall’insularità a Ottana, possa produrre per le prossime elezioni sarde una proposta di unità della Sardegna per gestire il conflitto con lo Stato e fare riforme durature e stabili.
Intendiamo dire che non è scandaloso ipotizzare che per difendere il diritto alla mobilità dei sardi, difendere gli interessi agroalimentari dei sardi con l’Ue, difendere il diritto dei sardi a un fisco diverso e più equo, difendere il sacrosanto diritto dei sardi a gestire tutto ciò che sta nel sottosuolo, dall’acqua calda alle risorse archeologiche, rifare lo Statuto Speciale della Sardegna, scrivere e realizzare una buona riforma agricola e una buona riforma sanitaria, cambiare il sistema energetico sardo, promuovere la Sardegna come sistema della qualità della vita ecc. ecc., non è scandaloso che si firmi un patto che va dai liberal di Forza Italia ai laburisti del Pd, con noi, i sardisti, ProgReS e chiunque altro del mondo indipendentista voglia farlo, a sostenere, animare, rappresentare e se possibile guidare questa fase di grande unità della Sardegna.
Non sarebbe scandaloso e sarebbe rivoluzionario.
Ma se si contesta questa prospettiva, allora si deve spiegare quale efficacia si pensa di attribuire a momenti di unità occasionale ed episodica quali quelli che si stanno realizzando in questi mesi. Non si può chiamare il popolo all’unità in tempo di pace e alla divisione in tempo di guerra.
Ragioniamoci.