Il giornale della diocesi di Terralba-Ales mi ha intervistato. Questo è il testo.
Il dato più significativo è che la Chiesa cattolica sarda riesce a aprire un dialogo con noi e che parli esplicitamente di Nazione sarda e di rivoluzione pacifica.
Essere cattolici romani significa tante cose, tra le quali anche essere gerarchici; ma avere il senso anche troppo spiccato dell’autorità non dovrebbe implicare l’incapacità di vedere il ‘giusto’ oltre il ‘possibile’ stabilito dalle leggi vigenti. La Chiesa sarda sa di essere la Chiesa di una nazione diversa da quella italiana? La Chiesa sta su una frontiera di dialogo tra queste due realtà, fatte di culture e di interessi diversi, oppure si sente solo una chiesa regionale della CEI?
Sebbene a me venga molto difficile parlare con la Chiesa perché in chiesa l’unica frase che mi sorge spontanea è ‘Domine, non sum dignus’, colloquiare con la Chiesa è indispensabile; spesso essa è l’unico presidio educativo e culturale che resiste nei nostri paesi e nei quartieri delle città, l’unico soccorso verso coloro che tutti abbandonano, l’unico luogo sopravvissuto senza odio e senza rancore, l’unico spazio – quando non è soffocato dalla superficialità mondana delle gerarchie e dalla solitudine angosciata dei preti- che si pone ancora la domanda decisiva del perché dell’esistenza e che riesce a custodire la risposta data due millenni orsono che ha aperto il passaggio attraverso cui l’infinito accade ogni giorno nel segreto dell’esistenza di ciascuno.