È difficile tenere ferma la rotta che ci si è dati in un mondo, quale il nostro, che fa durare le cose solo per lo spazio stretto di un giorno.
Sembra che un grido di dolore, come quello del sindaco di Ottana o degli ex Tessili, che dura una vita, e un grido di gioia – che dura un attimo – siano assolutamente analoghi.
In un attimo le notizie scomode e profonde scompaiono dalle prime pagine e vengono dimenticate. Non una protesta o una facile indignazione ci salverà, ma un durissimo lavoro.
Bisogna stare sulle cose, ripeterle perché si affermino, difenderle perché non si dimentichino.
Bisogna ripetere:
– che per dare lavoro bisogna produrre ricchezza;
– che il fisco italiano ha impedito da secoli che la Sardegna producesse ricchezza adeguata ai suoi bisogni;
– che la politica dei trasporti italiana condiziona pesantemente e negativamente la Sardegna;
– che gli interessi agroalimentari della Sardegna sono pesantemente contrastati da quelli italiani;
– che il modello di istruzione italiano è assolutamente inadeguato a colmare il gap culturale accumulato in Sardegna;
– che le leggi italiane, fondate sul sospetto, hanno prodotto una ragnatela amministrativa che sta bloccando ogni iniziativa, più in Sardegna che altrove, perché in Sardegna la cultura autonomistica ha creato la diffidenza rivendicativa verso lo Stato che educa alla rinuncia o alla inibizione ad agire;
– che la Regione Sarda ha ereditato nella sua organizzazione il privilegio, concesso dagli spagnoli alle città, delle funzioni amministrative ed economiche, per cui accentua anziché ridurre lo spazio tra sardegna rurale e Sardegna urbana;
– che l’impegno politico in Sardegna è, più che altrove, resistenza e impegno.
Come si fa ogni giorno a tenere ferma questa convinzione?
In un solo modo: amando.
Solo se si ha uno sguardo affettuoso sui singoli che la vita ci fa incontrare e una grande dedizione al proprio Paese, la Sardegna, si riesce a stare fermi e dritti, a ragionare con chiunque abbia piacere di cambiare le cose, a rifiutare il gusto mondano di alcuni ceti dominanti che trasformano la tragedia in chiacchiera e la chiacchiera costantemente in commedia. Non è semplice. Serve profondità spirituale, serenità interiore, disponibilità a mettersi in discussione costantemente, e fermezza sociale, senza paure, senza eccessive ambizioni, senza odii e risentimenti. Siamo fragili, ma se siamo normalmente liberi, attraversiamo la vita leggeri e eroici.