Ormai è una costante: ogni volta che si avvicinano le scadenze elettorali, la zona franca ritorna di moda.
Personalmente sono stato tra i primi che se ne sono occupati e da assessore ho contribuito non poco a finanziare le opere della perimetrazione di quella di Cagliari.
Detto questo, bisogna avere il coraggio anche in campagna elettorale di dire sempre la verità, non come sta accadendo in Italia con sparate veramente ridicole e pericolose pur di intercettare il pubblico delle fake news.
La Zona franca è un nome sbagliato per un bisogno giusto.
Il bisogno giusto è questo: il sistema fiscale applicato in Sardegna, uguale a quello italiano, è sbagliato e ingiusto.
L’obiettivo politico giusto è questo: la Sardegna deve poter regolare il proprio sistema fiscale. I Sardi devono poter applicare le tasse in modo da garantire i diritti e i servizi e non opprimere le imprese. È possibile farlo, a patto che non si dica da una parte che la Sardegna è una regione e non una nazione (perché nel primo caso, ‘regione’, chi decide per noi è lo Stato italiano, nel secondo caso, ‘nazione’, decidiamo noi) e che si abbandoni l’idea di vedere realizzato questo obiettivo sfruttando le pieghe e le pieguzze delle leggi vigenti.
Mi spiace vedere tanta gente spendere tante energie per studiare i codicilli delle leggi italiane e trovare il comma da utilizzare.
Ficchiamoci bene in testa che il fisco nella storia è sempre stato legato alla libertà. Non si otterrà mai nulla sul piano fiscale se non si lega il tema del fisco al tema della libertà e all’affermazione centrale del programma del Partito dei Sardi: in Sardegna i Sardi sono lo Stato. Nessuna delega da nessuno: noi esercitiamo tutte le funzioni statali.
Senza questo perimetro, la mobilitazione fiscale è ginnastica sul posto.