Domani sono invitato in via Ancona a Cagliari, nella sala riunioni della Cisl, a parlare di lavori pubblici e lavoro. Venerdì sarò a Thiesi: sanità, servizi e lavoro. Lunedì 24 a Sassari, a parlare di tasse e lavoro con il giornalista Luigi Pelazza e il nostro Angelo Capula. Poi vorrei potermi fermare.
Non so se si sia consapevoli fino in fondo dell’urgenza di un Piano straordinario del lavoro in Sardegna.
Come non so se si sia profondamente consapevoli dell’urgenza di immettere denaro nel sistema delle campagne che è allo stremo, sia per la crisi del mercato del latte ovino (rispetto alla quale abbiamo idee diverse da tanti altri) sia per la drammatica siccità che ha colpito l’isola.
E non è vero che l’Agea sta pagando ciò che deve pagare. L’Agea è per aria.
Vedo in giro una straordinaria leggerezza: si parla di tutto fuorché dell’essenziale.
Se oggi si riconosce che la Sardegna sta attraversando una crisi profonda di redditi e di lavoro, se si constata che ha difficoltà ad agganciare la crescita, minima ma comunque presente, dell’Italia, perché non si discute di questo?
Il PD sta cogliendo un po’ il clima sociale e sta moltiplicando gli eventi sul territorio, ma quando il partito di maggioranza relativa fa più attività fuori dai palazzi di governo che dentro, vuol dire che dentro c’è qualcosa che non va.
Il Partito dei Sardi da tempo dice che non va la gerarchia delle urgenze.
Chi governa deve fare l’ordine del giorno. È indispensabile.
Se non si sa cogliere l’urgenza delle cose si fa la fine della regina Maria Antonietta e dei suoi croissant e il prologo di questo clima è già in atto, con l’annuncio della manifestazione dei pastori a Cagliari in agosto. Le istituzioni vanno in ferie, gli agricoltori vanno in piazza. Chi è il folle che non smonterebbe questa bomba a orologeria?
Noi stiamo dicendo da mesi che serve un Piano straordinario del Lavoro che usi i 25 milioni di sponibili del Fondo di sviluppo e Coesione come risorsa infrastrutturale di appoggio degli altri 85 milioni rinvenienti da Fondi europei e da Fondi regionali con i quali si possono fare nuove e urgenti politiche attive.
Noi stiamo dicendo da anni che il sistema agricolo e agro-industriale ha bisogno di una scossa e di un soccorso immediato, di politche nuove che escano dagli schemi e dais entieri consueti.
Anche la discussione sulla sanità ha il sapore delle brioches di Maria Antonietta, perché non si può parlare di regole (la rete ospedaliera) e non parlare di costi, di debito e di consumazione delle risorse, cioè di ciò che sta consumando il futuro.
Sarebbe opprotuno abbandonare la retoricizzazione della politica di governo.
Per noi che abbiamo costruito l’indipendentismo di governo, governare non è narrare, è trasformare. Viceversa ci capita dolorosamente di constatare che ci si sazia di comunicati stampa lunari, che rappresentano una realtà formale in nulla incidente sulla realtà delle cose, che aumenta la distanza tra il discorso di chi governa e la vita di chi è governato. Questo spazio viene occupato tradizionalmente nella storia dai fascismi e dagli estremismi. Non capisco perché ci si stia incaponendo a precostituire in Sardegna la vittoria della demagogia a danno del riformismo democratico.
Comments on “Domani alla Cisl, dopodomani a Thiesi, lunedì a Sassari. Il tema da non perdere di vista: redditi e lavoro. Chi è governato sempre più distante da chi governa”
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Ogni rivoluzione determina inoltre spazio per una riconfigurazione di tutti i processi economici. Anche nel campo della finanza pubblica, il quale ha bisogno di essere ridisegnato. L’emissione di debito pubblico finanziato dalle stesse nostre tasse o speculativi investitori esteri è un sistema ormai superato. Dobbiamo saper attrarre capitali perché creiamo valore nel tempo, rappresentiamo un asset solida e con prospettive di crescita. Immagino grandi azionariati per la realizzazione di progetti per la collettività, che creino valore per visitatori e non, che sappiano emozionare. Abbiamo bisogno di idee che creino nel mondo la voglia di Sardegna.
La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo è sfociata in un processo di disintermediazione tra i vari attori del sistema economico. Immagino che ciò possa avvenire anche a livello politico: per essere “europei”, abbiamo ancora davvero bisogno di essere intermediati dallo stato italiano con costi superiori e risultati inferiori? Non potremo essere parte attiva dell’Europa con le nostre eccellenti menti piuttosto che fare prima scalo a Roma?