di Paolo Maninchedda
Oggi è la volta di un altro sull’Unione Sarda.
Ma io continuerò a non replicare.
Noi non parliamo agli indipendentisti o per gli indipendentisti: noi parliamo ai sardi, qui sta il punto.
Non ci facciamo ghettizzare da nessuno.
L’idea dell’Unione di chiuderci in un recinto che noi non riconosciamo e di far parlare gli altri reclusi su di noi non ha alcun effetto sulla realtà.
La realtà si cambia, in democrazia, proponendo programmi e costruendo consensi. Vedo tanti soggetti politici che occupano molto spazio comunicativo ma stanno lontani dalle competizioni elettorali, non fanno liste, non cercano gli elettori e non ci parlano.
Come pure vedo tanti che pronunciano la fatidica frase: «Con quelli non parlo». Noi parliamo con tutti e siamo felici che nell’area progressista e in quella liberal-democratica molte nostre idee vengano dibattute e spesso modificano il modo di percepire i problemi e le soluzioni.
Noi non disprezziamo nessuno e vogliamo ricreare i vincoli civili che sono in grado di trasformare la società sarda in un Popolo politicamente attivo, capace di mobilitarsi per i suoi diritti e di sacrificarsi per i suoi doveri.
Continui pure, dunque, il tiro a segno, continuino gli sputi, le analisi della purezza del sangue, noi ci puliamo la faccia, continuiamo a mischiare il nostro sangue con quello degli altri popoli della terra, e continuiamo a prendere ogni giorno per mano un’altra persona, un altro sardo.
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Ogni volta che leggo su L’UNIONE SARDA un attacco a Paolo Maninchedda e, da ultimo, anche a Franciscu Sedda, provo una grande soddisfazione. Come militante indipendentista da vari decenni e come osservatore politico che spesso ci azzecca, vedo infatti come ormai prossima la fine di quello che è stato il più grosso limite e l’autentica rovina dell’indipendentismo sardo da Antonio Simon Mossa in poi. Si intravede infatti la caduta dei tanti piccoli tancati dentro i quali sono rimasti asserragliati i “printzipaleddos” dell’indipendentismo organizzato. Finalmente in un tempo che ritengo anche limitato il popolo sardo abbatterà le barriere mentali che ci hanno portato dall’essere l’avanguardia dei popoli che in Europa lottano per la propria liberazione ad essere l’ultima ruota del carro.
Il problema é che nessuno dovrebbe pensare di avere la soluzione esclusiva dei problemi della Sardegna. Invece di una difesa a oltranza contro le critiche perché non parliamo insieme di prospettive e di sviluppo, costruendo una Alternativa federativa delle idee comuni? Noi siamo disponibili a parlare attorno a un tavolo.
Quando stavo ancora Bruxelles, Soru si proponeva come presidente regionale. A noi che stavamo fuori dalla Sardegna le sue proposte piacevano. Ci organizzammo e lo invitammo al theatre de la Reine, uno dei più prestigiosi della città. Arrivarono oltre un migliaio di sardi che spendendo di loro ci raggiunsero dal Belgio, dall’Olanda e dalla Germania. Quella manifestazione fu un successo. Molti credettero in quell’uomo un po’ ombroso e a tratti rabbioso che diceva che della politica tradizionale, dei patti sottobanco e del leccaculismo verso gli italiani ne aveva abbastanza. Oggi Soru è l’ombra di se stesso e vaga nella palude dei compromessi senza riuscire a dire quacosa di credibile.
Domanda: ha fatto male Maninchedda ad abbandonare quel carro?
Cosa aveva da spartire una persona normale con quella bolgia di bizantinismi cagliaritani che imitavano le soap opera dei ministeri romani?
Penso proprio nulla.
Se io fossi stato un uomo politico (e non lo sono) probabilmente sarei caduto in quella trappola soriana… e se non mi sbaglio troppo su me stesso, anche io ad un certo punto me ne sarei andato.
Chi è sardista e indipendentista come me ha una visione molto semplice e complicata allo stesso tempo del suo traguardo sociale: ritiene che la Sardegna sia così “speciale” che può offrire un minimo di felicità ai suoi abitanti solo se è libera di decidere in proprio. Non siamo però migliiori di altri, non dobbiamo vantarci troppo del nostro passato e dobbiamo sempre ricordare che un “passato” lo hanno tutti a questo mondo. Siamo semplicemente umani e come tali cerchiamo di migliorare la nostra vita con un po’ di felicità pubblica in più: buoni ospedali, buona istruzione, salvaguardia delle basi economiche, difesa dell’ambiente, sviluppo della nostra cultura.
Per fare questo la politica e la democrazia ci servono come il pane. Le chiacchiere, le dietrologie, le raffinatezze dei “si dice” salottieri, lasciano il tempo che trovano.
Solo che fare politica vuol dire proprio “farla”. Vuol dire confrontarsi, discutere, prendere accordi. Vuol dire stare nel palazzo come nelle piazze. Questa per me è la democrazia.
E allora, se si ha visione dell’obiettivo – e per me è l’indipendenza della Sardegna – bisogna organizzarsi e scegliere onestamente le opzioni migliori.
Il resto, gli Enrico Totti della politica che nonostante siano zoppi mostrano il petto dei loro ideali al nemico e si fanno bombardare di fesserie, li lasciamo ad altri. Se proprio non ne possono fare a meno, ad alcuni di loro possiamo dare persino una medaglia al valore. In Italia si può fare: è un popolo che sa perdonare.
Ma noi dobbiamo mettere in piedi uno Stato e renderlo credibile. Il chiacchericcio da circolo Pickwick proprio non va bene.
Perciò mi resta solo da dire l’ultima: Maninché, vai avanti. Chissà che questa non sia la volta buona.
Creare corrispondenza tra società e politica. Le tensioni sociali del nostro tempo, esprimono la spaccatura tra lo stato italiano e la nostra realtà. I tre fattori che individua Carlo Pala nel suo “Idee di Sardegna”, a mio avviso sono convincenti. Citerò solo il primo, perchè più strettamente contestuale alla discussione sollevata oggi. E’ quello di superare la forte divergenza tra le forze politiche etnoregionaliste, che limita la creazione di un polo identitario (forse al 20%?) dove ogni singolo partito continui a mantenere la propria fisionomia. Pala parla di connessione disorganica, che limiterebbe l’appeal verso quella parte di elettorato sfiduciato, che non pratica il voto (un’astensione infatti che sempre più di frequente sta superando la soglia del 40%); e di coloro che ancora non hanno maturato una coscienza identitaria (identità e identificazione F. Sedda)