di Paolo Maninchedda
Oggi leggiamo le parole dei sindacati (non prendo neanche in considerazione quelle della Confindustria che dice di volerne parlare col Ministro per il Mezzogiorno, evidentemente sperando nella grazia per i sardi da parte dei carnefici della Sardegna. Vada il presidente della Confindustria Sardegna a parlarne col Ministro per il Mezzogiorno, tornerà fiero del nulla conquistato. A Cagliari ancora si fanno incantare dai salotti purpurei dei ministeri romani) sui ‘cantieri fermi’ e vediamo l’Unione Sarda prendere fischi per fiaschi, confondendo il Mutuo infrastrutture con altre fonti di finanziamento.
Per capirci: il Patto per la Sardegna non poteva essere speso prima della fine dell’iter dell’allocazione delle risorse con le delibere sulla Cabina di Regia italiana, delibere assunte in sede italiana a fine anno. Noi abbiamo già assunto, nelle scorse settimane, la prima delibera che individua i centri di responsabilità amministrativa e da ora inizia l’iter di spesa del Patto e siamo tra le regioni d’Italia più avanti nella programmazione (perché abbiamo scritto bene il Patto).
Secondo: la Sassari-Olbia non c’entra niente col Mutuo infrastrutture e con il Patto per la Sardegna; ha un suo finanziamento e una sua contabilità speciale. Ha dei lotti nei quali siamo impegnati a combattere con ditte semifallite, con burocrazie italiane stupide, con amministratori giudiziari così impauriti dalla magistratura che anche per pagare un quintale di cemento vanno in tribunale a farsi autorizzare, ma ha anche lotti che stanno camminando veloci.
Il Mutuo infrastrutture è stato programamto nel 2015; nel 2016 il governo italiano ha cambiato la legge sugli appalti e le regole della contabilità degli enti locali, scatenando un vero putiferio. Ciò nonostante è stato impegnato e speso più o meno il 10% delle somme impegnate, cioè la quota media della spesa possibile nel primo anno nel contesto normativo italiano (che è pensato e scritto per mettere nei guai qualsiasi amministratore e qualsiasi Rup).
La prima riprogrammazione del Mutuo delle scorse settimane ha spostato le grandi opere sul Patto e liberato risorse sui piccoli appalti urgenti comunali che, guarda caso, sono anche quelli che producono più impatto sul lavoro.
I sindacati contano i cantieri in itinere, ma dimenticano i cantieri aperti e riaperti (sono più di trecento). Sanno che nel 2017 diversi cantieri (al netto dei ricorsi) dovrebbero aprirsi e si collocano in prima posizione a rivendicare come risultato sindacale quello che sarà un risultato semplicemente civile.
Certo è che se avessi dovuto seguire in questi due anni quanti dicevano solo ed esclusivamente che tutto va male, non avrei riaperto la SS 131, non avrei completato l’iter degli appalti della SS 125, non avrei realizzato (realizzato, non raccontato) gli interventi contro il rischio idrogeologico a Capoterra e Villagrande, non avrei salvato l’appalto sul ponte di Monte Pinu, non avrei appaltato la SS 554, non avrei sbloccato la SS 128 all’altezza di Senorbì, non avrei aperto il cantiere della Buddusò-Olbia, non avrei sostituito chilometri di tubi in tutta la Sardegna, non avrei contenuto le continue frane dell’Isola, non avrei trovato i soldi per le folli gallerie di Nuoro che tagliano in due i letti dei fiumi o che sono state progettate senza aerazione e senza illuminazione, non avrei appaltato il ponte di Sant’Antioco ecc. ecc.
Ma la cosa più grave è che sindacati e confindustria si smentiscono. La crisi degli addetti nel settore dell’edilizia non si risolve con le grandi infrastrutture, ma, proprio a detta del presidente Ance, soprattuto con le manutenzioni (idrico-fognarie, edilizie, urbanistiche, idrologiche). Il Patto per la Sardegna ha proprio in pancia 50 milioni di manutenzioni stradali che verranno programmati e spesi nelle prossime settimane e mesi. E questo i sindacati lo sanno bene.
Come sanno benissimo che i microappalti di manutenzione delle case di Area e dei Comuni sono stati tutti già eseguiti e realizzati (più del 90% da imprese sarde) e che se ne stanno programmando degli altri e in misura notevolmente superiore.
Ma la cosa più curiosa è che i sindacati parlino delle opere pubbliche e non di altro. E siccome non lo fanno loro, lo faccio io.
Io non sono per niente convinto che gli appalti infrastrutturali siano capaci di determinare inversioni significative nel mercato del lavoro. È una storia lunga, ma sarebbe opportuno parlarne. Oggi le imprese assumono solo se hanno più cantieri aperti, diversamente spostano le maestranze da un cantiere all’altro. Non solo: l’impatto occupativo di un’infrastruttura che muove terra e opere d’arte è molto minore rispetto a prima. Io sono d’accordo sul fatto che serva un Piano del lavoro in Sardegna come misura di una politica dei redditi ed è esattamente ciò a cui si sta dedicando il Presidente della Giunta.
Ma poniamo pure che le opere pubbliche abbiamo capacità taumaturgiche a me ignote, che cosa le blocca?
Nell’ordine: 1) le follie imbroglione del passato che hanno costruito strade dove non dovevano essere costruite, che hanno fatto trincee dove tutto frana, che hanno fatto quatieri dove c’erano fiumi e lagune, che hanno fatto alberghi sopra fiumi e strade sopra argini; 2) oggi l’Anac è diventata un collo di bottiglia che soffoca tutto. Mi diceva ieri un importante dirigente di un’azienda pubblica che loro ormai impiegano più di 60 giorni per nominare un membro di una commissione di gara; 3) il nuovo codice degli Appalti (che ha bloccato per un anno tutti gli appalti medio-grandi); 4) il bilancio armonizzato per Comuni, Province e Regioni; 5) le attività della magistratura (le inchieste a strascico sul rischio idrogeologico che hanno portato all’incriminazione anche di chi passava per sbaglio a una determinata ora in un determinato luogo) hanno fatto sì che ormai un Rup o un amministratore prima di firmare un qualsiasi atto chieda almeno tre o quattro pareri e se possibile cerca di evitare comunque di firmarlo; 6) il clima di sospetto delle forze dell’ordine che ascoltano anche i rumori nei bagni delle pubbliche amministrazioni convinte che tutti siano ladri, imbroglioni, corruttori e corrotti, in un grande clima di polizia dove nessuno, tra vedere e non vedere, fa nulla.
Ecco, in questo clima difficilissimo, sindacati e Regione sono dalla stessa parte, ma purtroppo non se ne accorgono perché sembra che ci sia la maledizione sardiota che induce sempre il sardo a frintendere il proprio amico come proprio avversario. Una maledizione secolare.
Comment on “Sindacati e Confindustria sui cantieri: siamo insieme oppure no contro burocrazia, cultura del sospetto e italianità?”
Comments are closed.
Una considerazione :
sindacati e Regione, in senso astratto, capiscono molto bene che “purtroppo” sono dalla stessa parte ma nel senso pratico mancano gli uomini con una visione politica di alto profilo.
Statisti?
Anche qualcosa di meno ma non diamo colpe alla maledizione!