di Paolo Maninchedda
Mentre la politica sarda si impegna ad affidare i certificati medici agli uccelli del malugurio, nel mondo succedono cose per noi molto rilevanti.
La parola chiave è la degenerazione del concetto di concorrenza.
Nelle università italiane si ripete ormai da decenni che la concorrenza è tutto, che competere è la vita, che la qualità dipende dalla qualità della competizione. Nelle università italiane si è insegnato che la globalizzazione è comunque un’opportunità, che bisogna prendere atto che tutto nel mondo è integrato e che i prezzi e i valori si decidono sul piano planetario.
Adesso ci si comincia a svegliare e a scoprire:
1) che l’effetto di tutto questo è che i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri;
2) che la corsa al prezzo più basso a prescindere dalle condizioni generali (diritti, garanzie, sostenibilità ambientale ecc.) della produzione sta uccidendo l’Europa;
3) che l’aver trasformato la cultura in un’infarinatura finalizzata alle professioni ha aperto la strada a mille piccoli dittatori, campioni del primato statistico dell’ignoranza;
4) che la tolleranza trasformata in impossibilità dell’esercizio critico in nome del politically correct ha distrutto tutte le identità culturali favorendo l’idea globale secondo cui siamo tutti uguali pur essendo tutti diversi.
Adesso abbiamo la Brexit, Trump, Erdogan, il presidente delle Filippine, l’egiziano Al Sisi, e il grande zar Putin (con cui l’Europa e gli Usa hanno sbagliato quasi tutto, a partire dai missili in Ucraina).
Trump dice ogni giorno una cosa diversa dal precedente. Per esempio: nei giorni scorsi aveva detto che era pronto a eliminare le sanzioni contro Putin in cambio di una collaborazione sul terrorismo; poi ha detto che la contropartita sarebbe potuta essere un accordo sulle testate nucleari. La sostanza è che per Trump l’importante è trovare un accordo con Putin.
L’Europa? L’Europa badi a se stessa.
Per Trump l’Europa è la concorrenza. Forse gli interessa ancora l’asse Londra-Washington, ma certamente non l’accordo a tutti i costi con l’Europa. Ha stupito solo i disinformati la sua battuta sulla senescenza della Nato. Gli Stati Uniti da tempo, anche sotto l’amministrazione Obama, hanno smesso di sostituirsi nella difesa all’Europa. Infatti i guai in Libia li ha fatti la Francia e se l’Italia vuole frenare l’esodo biblico dal nord Africa non può certo farlo con la Nato o con quel poco di pattugliamento mediterraneo garantito da Frontex. Nel frattempo, nei giorni scorsi il presidente del Kosovo ha bloccato la prima corsa del treno Belgrado – Mitrovica, estrema enclave serba in territorio cossovaro. Il treno portava una scritta eloquente: “Il Kosovo è serbo“. Buonanotte.
Nel frattempo, i rapporti tra l’Arabia Saudita, grande capitale del bene e del male del mondo arabo sunnita, e l’Egitto si stanno sgretolando, con l’Iraq e la smembrata Libia che faranno da fornitori di petrolio al dittatore egiziano che l’Occidente tiene in piedi come male minore per evitare l’epidemia fondamentalista.
Nel frattempo Erdogan sta facendo votare una nuova costituzione che gli darà il potere anche sul ritmo della peristalsi dei turchi.
In questo quadro servirebbe un’Europa unita, solidale, e invece abbiamo anche l’Europa ammalata di egemonia e concorrenza. Per la Germania, l’Italia è concorrenza; il Mediterraneo, il nostro Mediterraneo, per la Germania è sinonimo di vacanza e di fastidio. Le isole del Mediterraneo, da Cipro a Ibiza, avrebbero bisogno di uno status speciale in Europa, invece sono appendici, spettatrici della guerra lampo della Merkel e della ripresa della destra razzista di infausta memoria. La Merkel reagisce a Trump e fa appello all’unità dell’Europa, ma dall’altra parte agisce contro i singoli membri dell’Europa di cui mal sopporta le differenze dal modello teutonico. È un vizio tedesco secolare quello di non saper apprezzare la varietà del mondo.
L’Europa e noi in Europa non ragioniamo più sul grande tema del riportare le produzioni nei nostri paesi, sul non elevare dazi doganali ma costruire strategie educative che portino i consumatori a dare valore a ciò che viene prodotto in modo equo e sostenibile in paesi con verificabili sistemi di tutela dei diritti umani; non ragioniamo più sul grande valore educativo del possesso di valori condivisi. Non ragioniamo più sull’opportunità di regole certe di redistribuzione della ricchezza che non intacchino la libertà di iniziativa personale, il merito e la naturale diversità delle persone.
Di questo grande mondo che ci circonda dobbiamo parlare per riprendere a produrre ricchezza in Sardegna, altro che scommettere stupidamente sulla malattia o sulla salute altrui, perché se anche la Sardegna fosse dovuta andare a elezioni anticipate, vaticinando sulla salute di Pigliaru non si sarebbe comunque colmato il vuoto pneumatico di idee, grandi e piccole, che si registra oggi in larghi settori della società politica sarda. Il problema è proprio stare alla fatica di vivere, non scappare e invece produrre interpretazioni e istruzioni utili a tutti per sostenere il dovere di non sprecare l’esistenza.
Comment on “I corvi sanitari e le intelligenze perdute”
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Il partito dei sardi è l’unico soggetto politico che ha intravisto nella leva fiscale uno strumento per creare ricchezza in Sardegna. É un percorso non facile tipico degli Stati.La Brexit produrrà detto risultato con un importante avvertimento al resto dell’Europa: se non fate movimentare liberamente le nostre merci creiamo in Gran Bretagna un paradiso fiscale con il risultato di distruggere l’economia europea.Ai Sardi per ora non spetta questa opportunità:la Sovranità è un futuro incerto come per la Scozia,a Catalogna ed altri.Questa prospettiva ci dà forza.Oggi ci aspetta un lavoro ingrato di trovare risorse da destinare ad incentivi alle imprese tagliando gli sprechi nella Sanità e nella macchina regionale.Questa è la realtà da cui non possiamo scappare come giustamente ci ricorda Paolo. Questa scuola di sana amministrazione ci farà crescere se le poche risorse saranno destinate a micro imprese e all’utilizzo delle risorse locali.