di Paolo Maninchedda
Ieri Renzi, nell’intervista a Repubblica, ha individuato – come dice lui – «nuove polarità», in particolare la coppia identità-innovazione, precisando subito dopo che non si deve lasciare l’identità alla Destra (bisognerebbe capire di quale Destra parli, ma è un altro argomento). Cito testualmente: «L’identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all’innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c’è un gran da fare per la sinistra».
In sostanza Renzi rompe un tabù della sinistra massimalista italiana che identificava qualsiasi identità con il nazionalismo peggiore e con i suoi corredi di chiusura, razzismo, bellicismo ecc.
Se questo è l’inizio di un ragionamento serio (ma ho qualche dubbio che si tratti di una cosa buttata lì ma non adeguatamente approfondita) allora sarebbe opportuno spingerlo fino a fare emergere una verità scioccante per la Repubblica Italiana: l’identità nazionale italiana è una costruzione unitarista posticcia che incombe sui destini di tanti come un dogma inviolabile e indiscutibile. La Sardegna è dentro questa storia senza alcuna convenienza, con molto diritto negato, molte ingiustizie praticate e molta – troppa – educazione all’assitenza e alla subordinazione che ne sta minando le virtù civili e morali alle fondamenta.
Già negli anni Sessanta uno studioso intelligente e poi famoso come Carlo Dionisotti spiegò in un articoletto (prima passato quasi inosservato e poi divenuto una sorta di icona) che anche parlare di letteratura italiana (l’unico filone unitario della storia della penisola) è molto azzardato, al punto che alla fine si giunse a parlare di letteratura degli italiani, ossia si passò a definire il sistema letterario alla luce dello status politico attuale conquistato dall’Italia e non dagli originari contesti culturali e motivazionali degli autori.
Se ci si sta realmente emancipando dal dogmatismo della cultura politica italiana, con tutti i suoi corollari (i partiti tribali, l’estremizzazione della battaglia politica, la necessità di trasformare continuamente l’avversario in nemico, il giustizialismo e la corruzione come estremizzazioni della vita morale del Paese ecc. ecc.) allora c’è un banco di prova utile: la legge elettorale, posto che da essa dipende la rappresentanza nel Parlamento della Repubblica anche delle istanze che non sono allineate col dogmatismo patrio. Andrebbe discussa in modo molto trasparente, invece così non accade. Anzi, già si parla di liste bloccate senza preferenze. Ci risiamo. Papi, cardinali, vescovi, canonici e dogmi per fare liste che proteggano le egemonie interne dei partiti. Si ricomincia da su connottu.
Comment on “Ci risiamo. Via le preferenze, avanti i preferiti. Si ricomincia da su connottu”
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a proposito di Renzi, ma non dovevamo vederci più? e invece eccolo là, a indicare l’orizzonte politico per la più importante della imminente partita politica.