di Paolo Maninchedda
La crisi italiana e la crisi sarda si stanno legando l’una con l’altra, come era inevitabile che accadesse.
Io rimango dell’idea, più che solitaria, direi personalissima, che si debba andare a votare al più presto in Sardegna e in Italia, magari utilizzando uno dei momenti di massima debolezza della Repubblica italiana. Sono di questa idea perché sento nell’aria una volontà di esprimersi che non va umiliata; il popolo mi pare abbia desiderio di dire la sua, non per dare la colpa a qualcuno, ma per segnare la rotta, per incidere sul futuro.
Ma sono l’unico a pensarla così (il mio partito ha un’idea completamnete diversa), le elezioni in Sardegna non le vogliono neanche le opposizioni. Se Pigliaru andasse in aula e chiedesse, per rimanere, un voto di fiducia unanime, a scrutinio segreto gli mancherebbero non più di una decina di voti. I consiglieri regionali praticano da sempre l’accanimento terapeutico su sé stessi e forse sono per questo un fattore di stabilità oltre ogni possibile immaginazione.
I momenti di difficoltà, però, svelano il carattere non solo delle persone ma anche dei soggetti politici.
Ho chiesto a un mio amico se un’altra persona fosse affidabile. Risposta: «Non l’ho mai potuto osservare in momenti di difficoltà». Risposta saggia e istruttiva.
Vi sono soggetti politici che ritengono che Pigliaru sia un albero abbattuto dal fulmine referendum. Di conseguenza, dinanzi a questa difficoltà, che fanno?
Alcuni si armano di scure o motosega e vanno a fare legna.
È legna facile: basta addebitare all’albero caduto tutto il male del mondo per avere la licenza di liquidarlo pretendendone l’eredità di legittimazione popolare.
L’ipotesi dei legnaioli è che l’elettorato premi gli abbattitori.
La storia dice che non è vero.
L’elettorato premia chi ispira fiducia, chi dimostra di sapere dove condurre la barca.
I necrofori non hanno mai vinto le elezioni.
Chi pianta alberi, vince le elezioni.