di Paolo Maninchedda
Molto opportunamente il tema dello sviluppo delle zone interne è tornato alla ribalta.
Personalmente seguo da un po’ gli sviluppi della strategia guidata dal Governo Renzi e affidata a Fabrizio Barca, nonché l’iter parlamentare della legge sui piccoli comuni.
Prima di tutto parliamo di soldi: 90 milioni di Fondi FSC nel settennio 2014-2020 (mi pare, da ciò che ho letto, aumentati di dieci milioni, ma non ne sono sicuro). Poniamo anche che si tratti per tutte le regioni d’Italia di 100 milioni di euro per sette anni destinate a 23 aree in tutta Italia; poco più di 10 milioni all’anno diviso 23 (in vario modo). Siamo a una base di divisione per area (comprendente più comuni) di 430.000 euro l’anno per un biennio.
La legge per i comuni sotto i 5.000 abitanti prevede uno stanziamento complessivo (articoli 11 e 12) di 20 milioni per il primo biennio e di 40 milioni per l’anno di approvazione della legge. Poniamo di disporre in tutto di 60 milioni. I comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti in Italia sono quasi 6000. Siamo a una base di partenza, se la distribuzione fosse capitaria, di 10.000 euro a comune l’anno. Le regioni che hanno il maggior numero di comuni sotto i 5000 abitanti sono la Lombardia e il Piemonte. La Sardegna ne annovera 314 (83% circa del totale dei comuni) a fronte dei 1067 del Piemonte (88% circa del totale dei Comuni) e dei 1061 della Lombardia (69,48% del totale dei comuni). La popolazione residente nei piccoli comuni sardi è il 31,27% del totale; quella del Piemonte il 29% e quella della Lombardia il 21%.
La parola insularità è citata una sola volta nella premessa della legge.
Lo strumento di valutazione dell’efficacia delle politiche messe in campo sarà proprio l’incremento demografico.
Gli strumenti previsti per frenare lo spopolamento sono sempre gli stessi: aumento dei servizi, incentivi fiscali, ambiente e agroalimentare.
In poche parole: dal dibattito politico italiano verrà fuori tanta retorica, un grande apparato distributivo, qualche incarico a colleghi dell’università e poco altro.
Diciamo una cosa chiara: per generare ricchezza e sviluppo serve ricchezza. Per combattere la povertà occorre saper sviluppare la ricchezza.
L’Italia è di una costante, secolare e insopportabile ipocrisia: parla di diritti, di interventi sociali, di cultura e non ha la benché minima idea di come riprendere a produrre ricchezza, senza la quale le leggi per lo sviluppo sono aria fritta.
Uno dei temi dell’indipendentismo sardo moderno è esattamente quello che la sinistra italiana, divenuta giustizialista e burocratica, ha abbandonato. Lo indico con le parole di un grande socialista, Olof Palme: «Noi democratici non siamo contro la ricchezza ma contro la povertà. La ricchezza, per noi, non è una colpa da espiare, ma un legittimo obiettivo da perseguire. Ma la ricchezza non può non essere anche una responsabilità da esercitare». Molta borghesia impiegatizia panciapiena italiana è contro la ricchezza e quindi non ha strumenti concettuali per combattere la povertà. È la stessa borghesia parassitaria e parolaia, tronfia e feroce, da cui è nato il fascismo.
Noi sardi dobbiamo avere una visione della nostra residenzialità più aderente a ciò che la storia della Sardegna ci ha insegnato (per esempio, per secoli l’insediamento è stato sparso; oggi è un modello impraticabile, ma ci sono bei libri che spiegano perché lo era e non sono letti abbastanza); dobbiamo capire come riprendere un rapporto produttivo con la nostra terra; dobbiamo arricchirci di tecnologia, di brevetti, di meccanica, di chimica dei nuovi materiali, di qualità dei cibi e dell’ambiente (i vecchietti di Arborea, col voto contro l’acquisto della Sbs hanno fatto un danno enorme ai loro nipoti. L’idea di continuare a produrre milioni di litri di latte a danno del territorio con i nitrati che salgono alle stelle è fallimentare, radicalmente fallimentare), di accoglienza, di turismo sostenibile, di cultura e di lingue (siamo stati poliglotti per secoli). Dentro questa visone e dentro altre che ne verranno sta la nostra impostazione per le zone interne. nel frattempo, il buon senso insegna che forse sarebbe opportuno chiudere i dossier aperti e concludere le cose in itinere. Fare bene i compiti a casa è sempre utile.
Comment on “Zone interne: noi indipendentisti democratici siamo contro la povertà, non contro la ricchezza. L’Italia fa il contrario”
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È impressionante quanti sardi, specie giovani e con buona cultura, trovi se oltrepassi i nostri confini :alcuni servizi gestiti da cooperative, a titolo di esempio, potrebbero essere il volano per altre iniziative. Se come movimento politico ne attuassimo qualcuna la gente capirebbe e ci seguirà con la speranza di abbattere la burocrazia che è nodo da eliminare.