di Paolo Maninchedda
Oggi, leggendo i giornali nelle cronache locali di piccoli paesi e grandi città, capita di potersi nutrire delle parole di piccoli imperatori locali, assurti, per i meccanismi della democrazia (che, ricordiamocelo sempre almeno per avere un adeguato senso critico su noi stessi, non sceglie i migliori ma i più popolari) a ruoli di responsabilità politica e amministrativa, i quali parlano, con un’improvvisa innocenza ossessivo-compulsiva, di quei problemi della gente che, caso strano, hanno concorso a determinare, o peggio, dalla cui mancata soluzione deriva il loro piccolo potere.
Se ci fosse un potere riformista in campo, animato da semplice giustizia, ci sarebbero un sacco di fannulloni a spasso, gli stessi attualmente impegnati nel guidare parti del popolo e del territorio della decrepita e splendente Repubblica Italiana.
Nell’altra vita, quando ero impulsivo, dinanzi a queste cose avrei aperto una guerra infinita secondo il modello punici e romani; oggi, domato da una più acuta sensibilità sulle radici complesse dell’animo umano, mi limito a fare il professore e suggerisco la lettura di una versione di latino che assegnai a un ragazzo che faceva un po’ di ripetizione con me nei lontani anni Ottanta.
È il quarto capitolo del 4° libro del De civitate Dei di Agostino, nel quale il vescovo di Ippona (le cui spoglie per secoli riposarono a Cagliari, nell’area bassa di Largo Carlo Felice – motivo per cui sarebbe meglio cambiare il toponimo in Largo Agostino di Ippona, piuttosto che lasciarlo intitolato a Carlo Feroce di Savoia).
Testo e traduzione sono disponibili in rete in varie versioni e formati, per cui ne ho scelto una e l’ho riportata di seguito.
Secondo sant’Agostino il potere di un politico e il potere del capo di una banda di banditi hanno le stesse identiche strutture; non solo, Agostino teorizza una similitudine tra il formarsi degli Stati intorno a una forza militare e il controllo del territorio che una forza criminale è in grado di acquisire acquisendo nuovi uomini e nuove strutture.
Di tutta la versione, il passo più acuto è il dialogo tra Alessandro Magno e il Pirata: «Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta”».
Vien da pensare, per l’attualità, non solo alle vicende dell’Isis, ma alla passione di Saddam Hussein per tutti i film di Coppola dedicati al Padrino. Ma viene soprattutto da pensare a certi finanzieri o banchieri, a certi editori americani e planetari, ma anche ai pirati con piccoli navigli che prendono in giro la povera gente per continuare a veleggiare senza fare un beneamato nulla tutta la vita, ai piccoli pirati dei piccoli e grandi favori, dei piccoli comandi o dei grandi proclami privi di un briciolo di responsabilità. Bisognerebbe scrivere la storia del banditismo invisibile nullafacente.
Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna? Manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis astringitur, placiti lege praeda dividitur. Hoc malum si in tantum perditorum hominum accessibus crescit, ut et loca teneat sedes constituat, civitates occupet populos subiuget, evidentius regni nomen assumit, quod ei iam in manifesto confert non adempta cupiditas, sed addita impunitas. Eleganter enim et veraciter Alexandro illi Magno quidam comprehensus pirata respondit. Nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare haberet infestum, ille libera contumacia: Quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu magna classe, imperator.
Traduzione: Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri? Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze, occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma da una maggiore sicurezza nell’impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: «La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta».