di Paolo Maninchedda
Se si dovesse fare una esplicita storia del potere in Sardegna emergerebbe uno dei profili più netti della questione sarda: il rapporto tra le città e i paesi.
Le città della Sardegna hanno due nature: alcune sono vere, altre sono inventate. Cagliari e Sassari sono vere, Nuoro, Carbonia e Olbia sono inventate, cioè sono nate per volontà politica di costruzione di un aggregato urbano intorno a un sistema di poteri decentrato, siano essi politici o economici. Olbia, poi, diventa grande per effetto di una scelta unilaterale di un magnate di realizzare l’unico Master Plan di cui la Sardegna abbia memoria. Olbia è una città nata dalla benevolenza di un magnanimo semifilantropo (il ‘semi’ è usato per riguardo agli utili comunque realizzati).
Il tema però è che non c’è sviluppo senza un potere che si radichi in un luogo.
Qui sta il punto: i paesi della Sardegna non sono mai stati la sede di un potere diffuso ed efficiente e di consenguenza sono stati sempre una grande periferia o un luogo di grandi solitudini e isolamenti.
La grande questione politica della Nazione Sarda è questa: città molto egoistiche e municipali, paesi abbandonati, campagne deserte.
La politica dovrebbe decidere dove mettere i soldi e i poteri.
L’analisi porterebbe a dire che portare ulteriori poteri e risorse a Sassari e Cagliari sarebbe come somministrare carboidrati a un obeso.
Invece accade proprio questo: si pensa ingenuamente che concentrare i poteri sia la soluzione di tutti i mali (la celebre reductio ad unum di medievale memoria che sopravvive solo nelle deboli menti che non sanno guardare con ammirazione alla molteplicità dei fattori che compongono l’universo) e poi inevitabilmente i poteri concentrati vanno ad allocarsi dove già esistono altri poteri (l’economia di scala non esiste solo nei fatti economici).
Che senso ha pensare di riequilibrare i poteri attraverso la distribuzione delle sedi legali nei diversi centri della Sardegna? Non ha insegnato niente a nessuno il fatto che anche Abbanoa ha la sede legale a Nuoro, ma la sede operativa a Cagliari? Che senso ha, per esempio, mettere la nuova Asl sulle emergenze urgenze a Nuoro e tenere le sale operative a Cagliari e Sassari? Qualora si mettesse la sede di Forestas a Nuoro, si disporrebbero i trasferimenti dei dipendenti della sede centrale da Cagliari a Nuoro?
Il tema, evidentemente, non è da affrontare con ‘trovate’, ma con modelli nuovi che inevitabilmente mettono in discussione le rendite che si appoggiano sul sistema attuale. Non si ha la forza per realizzare questa rivoluzione, non si ha il mandato popolare per farla. Il popolo, invece, anziché dedicarsi a capire i modelli, sta studiando come protestare in generale, ciè sta covando un profondo cambio di classe dirigente non legato ad alcuna alternativa di programma. La Sardegna è gonfia di una incoscienza di cambiamento: una necessità profonda di novità che rischia di tradursi in un peto. L’unico modello oggi in campo è il nostro, quello di una nuova coscienza nazionale, di un nuovo Stato, di una nuova società a potere diffuso, efficiente, controllato e controllabile. Ma il divario tra la nostra visione e quella dominante sta aumentando perché sta diminuendo il tempo utile per le grandi trasformazioni e quanto più si avvicinano le elezioni, tanto più ci si affida alle soluzioni facili facili che poi si riveleranno, ma col tempo, dannose. Dobbiamo costruire l’alternativa nazionale sarda.
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Ogni volta vorrei commentare ma dici già tutto…..