di Paolo Maninchedda
I giornali sono aziende che producono e consumano ricchezza. Noi siamo interessati a che la differenza tra quella consumata e quella prodotta sia sempre di segno positivo, altrimenti l’azienda va in perdita. Noi siamo interessati a giornali in utile, che fanno soldi e garantiscono posti di lavoro.
Per non fare commenti da bar dello sport, riprendiamo quanto è stato dibattuto in Italia sui dati delle vendite dei giornali a gennaio 2016. Il Corriere della Sera vende più degli altri, Il Fatto Quotidiano di Travaglio perde un sacco di copie.
Che cosa è successo nel frattempo? È successo che il Corriere non è più il quotidiano di Rizzo e Stella, ma il quotidiano anche di Rizzo e Stella. Il Corriere non parla sempre e solo di ciò che va male, non enfatizza le notizie, non le filtra secondo un cannocchiale ideologico-populista da piccola borghesia imbufalita, ma informa su ciò che è dinamico, spiega la complessità e la semplifica, fornisce una bussola sulle dificoltà quotidiane, rinnova il parco commentatori, ridimensiona i suoi guru.
Il Fatto ha realizzato una politica opposta. È diventato un house organ grillino, valorizza di ogni notizia la parte che meglio può nutrire l’indignazione, alimenta la logica ‘del tutto va male’. E perde.
Veniamo in Sardegna e diamo uno sguardo ai quotidiani e ai notiziari. Prendiamo a riferimento le ultime due giornate.
L’Unione Sarda
Sabato crollano calcinacci da un ponte della SS 131 su un tratto della provinciale Macomer-Nuoro. Interruzione del traffico per cinque ore, rimozione degli intonaci ammalorati (come accade in tutto il mondo) e riapertura al traffico in giornata. Titolo dell’Unione Sarda di ieri in prima pagina: “Il ponte crolla: 131 a rischio”. Capite? “Il ponte crolla”. Secondo il titolo la SS 131 (che non ha subito alcuna interruzione) risultava a rischio, nonostante nell’articolo il giornalista scriva correttamente che le squadre dell’Anas sono intervenute e abbiano riaperto al traffico la provinciale con tempestività.
Oggi L’Unione torna sull’argomento e rappresenta il quadro delle strade di accesso a Macomer con questo titolo: “Strade impraticabili: è caos”. Un titolo siffatto in prima pagina con la foto di una buca su una strada, dà l’idea di una situazione da collasso in tutta la Sardegna, mentre la didascalia lo esemplifica nel solo Marghine. Nell’articolo si legano le buche sulla ex SS 131 con quelle della circonvallazione di Sindia con la frana alle porte di Macomer sulla SS 129. Non si dice però che su quelle strade sono state trasferiti alla provincia 4 milioni di euro per manutenzioni straordinarie, che sulla circonvallazione di Sindia i lavori sono in corso, che sulla frana presunta e presumibile di Macomer si è di fronte a un contrasto tecnico tra la valutazione dei Vigili del Fuoco e quella del Genio Civile e che questo scontro fra geologi è già costato alla Regione 300.000 euro, che la Provincia entro il 15 pubblicherà le gare per le manutenzioni dopo aver ricevuto le somme del mutuo a dicembre 2015 (perché prima non era possibile averle) e aver subito la riorganizzazione e il commissariamento dei suoi uffici per l’abolizione a furor di popolo delle province. Ma soprattutto non si dice che il degrado di quei tratti di strada deriva o da errori progettuali o da una trascuratezza della stagione autonomistica sulle infrastrutture della Sardegna che oggi paghiamo a caro prezzo e che si sta cercando di correggere. E allora la notizia dovrebbe anche essere che ci sono i soldi e che stanno partendo i bandi (cioè gli elementi di novità) per rimediare al degrado ormai tradizionale in cui quelle strade versano da decenni. Invece no.
La Nuova Sardegna
Passiamo alla Nuova Sardegna. Oggi in prima pagina: “Estate con acqua a singhiozzo”. Sottotitolo: “A Sassari e provincia: stop pomeridiani e serali da mercoledì al 7 agosto”. Ovviamente un lettore comune legherà le interruzioni alle polemiche sull’acqua non potabile a Sassari ecc. ecc. In questo caso le notizie, però, sono due: una la causa e l’altra l’effetto. La causa è data dall’avvio di importanti lavori – mai fatti prima – sul Bidighinzu. Da dove trae la notizia La Nuova? Da un comunicato stampa di Abbanoa del 10 giugno 2016, finito dentro il mare magnum dei comunicati Abbanoa, per niente valorizzato (non esce nell’home page del sito aziendale e non esce per primo neanche con una ricerca con la parola Bidighinzu) che spiega che “ad agosto, al termine dei lavori, avremo tre chiariflocculatori in azione che potenzialmente potranno produrre sino ad 800 litri al secondo. A ottobre, con l’intervento al quarto chiariflocculatore, l’impianto di Bidighinzu sarà in grado di produrre sino a 900 litri al secondo: una quantità che permetterà di effettuare qualsiasi intervento di manutenzione senza più dover interrompere l’erogazione dell’acqua”. Quindi, la prima notizia è: si mette a posto il Bidighinzu (mai fatto prima).
Il potabilizzatore del Bidighinzu venne trasferito a Abbanoa in condizioni pietose solo nel 2010 e con l’intervento della forza pubblica. La notizia, dunque, è che adesso il Bidighinzu comincerà a essere un vero potabilizzatore, cosa che prima non era, ma nessuno spiega perché non si racconta mai che cosa era il ciclo dell’acqua trasferito a Abbanoa.
L’effetto degli interventi è il programma delle interruzioni serali. La Nuova valorizza l’effetto in prima pagina senza dare troppe spiegazioni e racconta molto cursoriamente la causa. Perché? Perché il bene che svela il male del passato non fa notizia, (ma intanto Travaglio, massimo interprete di questa logica, si lecca le ferite).
La Rai dei “Seddanta”
Veniamo alla Rai. Ieri il Tgr (sempre più imbarazzante per la superficialità di conoscenze del territorio e delle persone che caratterizzano molti servizi) dà conto di un comunicato Cisl-Adiconsum su Abbanoa come la Pravda dava lettura dei comunicati del Pcus. Poi ci mette del suo e dice una serie di fesserie sui conguagli regolatori che mi inducono a chiamare in redazione, e qui inizia un siparietto che la dice lunga. Chiamo il centralino e mi risponde il solito messaggio registrato che scandisce in successione i numeri da comporre per, nell’ordine: reclami, ricezione e redazione. È la Rai che non fa più scuola di dizione; è la Rai che dice “Seddanta” per dire “Settanta”, è la Rai che dovrebbe garantire il servizio pubblico; è la Rai che è pur sempre la televisione di Stato e che con una leggerezza leggiadra dà informazioni non verificate ai suoi (pochi) ascoltatori. Chiamo comunque in redazione. Non risponde nessuno. Alla fine chiamo al cellulare un amico. Intanto la televisione di Stato aveva già dato un’informazione assolutamente fuorviante su questioni disciplinate in modo netto e chiaro dalla legge. Danno fatto e irrimediabile. A che serve telefonare? A nulla, solo ad un aumento della pressione arteriosa.
Ecco, questo è il lungo resoconto della battaglia quotidiana per l’informazione.