di Paolo Maninchedda
Mentre i media sardi parlano di elezioni come si parla dei fatti di cronaca (con la differenza che i fatti di cronaca fanno vendere di più), noi dobbiamo studiare, capire e prepararci. Mentre la politica si avvicina sempre più allo spettacolo e si allontana dalla cultura e dalla conoscenza, noi che vogliamo costruire una patria diversa dobbiamo sapere; abbiamo l’obbligo di faticare per sapere.
Antonello Soro, garante della privacy della Repubblica Italiana, ha pubblicato un libretto molto importante, che vi suggerisco di leggere: Liberi e connessi, Codice edizioni, Torino 2016, 12 euro.
L’ho letto perché sono culturalmente onnivoro (da Nathan Never a Edoardo Albinati), ma anche perché Soro è mio amico ed è intelligente.
Comincio col dire che il titolo è un mero auspicio e che il libro è inquietante: il quadro che viene offerto è quello di un sistema dell’informazione globale, delle reti e dei big data, sempre più connesso, sempre più capace di produrre autonomamente fenomeni, sempre più proiettato a generare un cambiamento di stato. Come milioni di anni fa organismi unicellulari hanno dato vita, aggregandosi, a organismi complessi ben diversi dalla semplice somma dei componenti originari, così le forti integrazioni tra le reti stanno generando oggi i presupposti di un cambiamento di stato dell’integrazione tra le macchine, i linguaggi, le interazioni, le capacità dell’intelligenza artificiale di apprendere dai comportamenti umani, la capacità della rete di essere intuitiva grazie al carattere ripetitivo dei nostri comportamenti. Se a questo aggiungete che nelle neuroscienze si è ormai oltre l’idea riduzionista che la coscienza (cioè quel fattore che determina la consapevolezza di essere qualcuno. Ricordo l’emozione quando, dopo aver letto un libro che mi aveva suggerito Silvano Tagliagambe, lessi Che effetto fa essere un pipistrello di Thomas Nagel) risieda in una determinata area cerebrale, cioè che essa sia un fascio di neuroni, ed invece si è sempre più convinti che essa sia una narrazione, un ‘software’ che tiene insieme la simultaneità dei tempi del soggetto, il suo sistema di relazioni, la sua capacità di guida delle sue funzioni organiche; se si sommano queste letture a quella del libro di Soro, si ha l’esatta consapevolezza di un fatto: coi nostri comportamenti digitalmente ingenui, superbamente convinti di usare macchine e reti e di non esserne in alcun modo condizionati, stiamo contribuendo a un mutamento di tipo naturale (il libro parla di infosfera, parallelamete alla biosfera) che segnerà i fondamenti della vita biologica e della vita civile.
Il grande problema che Soro si pone è quello del diritto nel sistema delle reti. La rete è ormai universale; gli ordinamenti giuridici invece sono locali. Questa sproporzione sta al problema delle libertà umana come lo stesso problema è stato posto tra il XVII e il XVIII secolo ai sistemi assolutistici di ancien régime. Occorrono regole, ma non costruite in ritardo dopo le reti e i big data, ma prima: cose un po’ complesse che non si possono riassumere facilmente ma che meritano una lettura.
Il Presidente del Consiglio Renzi e il sottosegretario alla presidenza Lotti, noti per essere comunicatori sicuri di sé stessi, dovrebbero leggere il libro. Leggano per esempio il capitolo 10: Hacking team, dedicato alla società che ha prodotto il software Galileo utilizzato dagli organi inquirenti per effettuare intercettazioni da remoto. Oppure, adesso che vogliono licenziare i dipendenti pubblici pigri, leggano il capitolo 6 e si impadroniscano di una parola impronunciabile: whistleblowing, che indica l’azione dei whistleblowers, letteralmente i ‘soffiatori di fischietto’, cioè i dipendenti che segnalano illeciti nell’ambito della propria organizzazione. Potremmo chiamarli i ‘pentiti’ del lavoro dipendente e dopo averli identificati dovremmo anche chiederci che cosa sarà di loro e di noi a seconda non del soggetto denunciante ma di colui che riceve la denuncia, della sua capacità di manipolare le persone deboli ecc. ecc.
Sono da leggere in famiglia i capitoli dedicati al cyberbullismo e allo sfruttamento sessuale in rete. Sono raccomandabili a giornalisti e magistrati i capitoli sul processo mediatico e sulla reputazione on line.
Insomma, un libro da leggere, ma che pone la grande questione delle strategie per almeno un parziale anonimato digitale. Bisogna ridurre lo sguardo delle macchine e dei software su di noi: apprendono in fretta e apprendono il peggio.