di Paolo Maninchedda
Vi racconto una storiella preliminare. Tizio tenta di ammazzare Caio. Caio si salva. Tizio vuole fare dimenticare la sua colpa e diventa il capo del Comitato contro le cure somministrate alla sua vittima.
Fuor di metafora. A Olbia non si è parlato durante la campagna elettorale di chi ha sfasciato Olbia, di chi ha tappato i canali, colmato i fiumi, fatto costruire negli alvei, di chi ha mandato sott’acqua Olbia, di chi in una parola ha fatto danni per 100 milioni di euro (tanto costa mettere in sicurezza la città). No a Olbia si è discusso sulla cura della vittima, con i colpevoli a capo del Comitato contro le cure messe in campo.
Ma andiamo per gradi.
Stamattina ero a Olbia alla chiusura della campagna elettorale del candidato sindaco Carlo Careddu. Ero lì a disposizione dei giornalisti. In diversi mi hanno fatto tante domande. Ho parlato del Piano Mancini, io che non me ne vergogno certo e che trovo vergognose le strumentalizzazioni e le fandonie che sono state dette e fatte su questo studio idrogeologico approfondito su Olbia, mai fatto prima, sin dalla sua millenaria fondazione, e che invece ho un perfetto ricordo dell’imbarazzante vuoto di idee e di progetti sostenibili emerso durante il confronto pubblico, aperto, leale, non prevenuto, previsto per legge, che io stesso venni a presiedere a Olbia al principio della procedura. Tutti bravi a parlare dopo, da soli, ma mai in contraddittorio scientifico certificato; tutti pronti a presentare progetti alternativi che, sentite un po’, prevedono un bel canale tombato, l’ennesimo, che passa sotto l’ospedale, con conseguente aumento del rischio per la popolazione. Ma per favore!
Comunque, oggi vado via da Olbia e in tarda serata mi vedo strumentalizzata la normale interlocuzione sul Piano Mancini tra il Sav regionale e il Comune. Ma perché queste piccoli agguati da pirati fluviali, fatti a quarantott’ore dalle elezioni non me li fanno corpore presenti? Perché non riprendere la buona abitudine sarda del valore umano, del parlarsi in faccia, in contraddittorio, con carte alla mano?
Ricordiamo un po’ i fatti.
Il Piano Mancini è un piano condiviso tra il Comune e il Distretto Idrografico della Sardegna. È in buona sostanza un progetto regionale affidato nell’esecuzione al Comune. L’esecuzione di progetti così complessi in tutti i paesi civili prevede la valutazione d’impatto ambientale, la quale a sua volta prevede anche confronti pubblici, che per l’appunto sono avvenuti nelle scorse settimane. Nel corso dell’iter la stessa amministrazione comunale ha chiesto la sospensione dei termini della Via perché, come accade in moltissimi casi, vuole integrare e modificare il progetto alla luce di una serie di ulteriori conoscenze e anche alla luce della verifica pubblica che c’è stata. Il Sav della Regione ha accolto le richieste del Comune e, come fa sempre in circostanze simili, ha sospeso i termini per sei mesi e ricordato al Comune che, per sua tutela, rispetto alle decisioni del Sav e alla procedura sospesa, poteva anche ritirare il progetto.
Nessuna bocciatura di nessun tipo. Semplice e seria procedura, forse quella a cui in tanti non sono più abituati.
Procedura legale. Questa Giunta e questa amministrazione non approva in via politica i progetti. I progetti devono seguire un iter libero, non forzato, aperto, dialettico, verificabile in ogni sua fase, pulito, onesto.
Lunedì scorso si è già svolto l’incontro, proprio nei locali del mio assessorato dove si svolgono riunioni senza grancasse e alle quali non possono partecipare i pavoni con la coda aperta, tra il Sav, i dirigenti dell’Assessorato dei Lavori Pubblici e del Distretto Idrografico e il Comune, nel quale il Comune ha già comunicato che non intende ritirare il progetto e che consegnerà gli elaborati necessari per il prosieguo della procedura di Via.
Il progetto va avanti.
Ciò che sta accadendo è semplicemente questo: quando si passa dalla pianificazione alla progettazione si devono superare tutta una serie di verifiche che puntano alla qualità progettuale.
La procedura di Via e tutte le fasi di approvazione e di autorizzazione servono proprio a realizzare un buon progetto per realizzare una buona opera. E qui sta il bello. Prima si contesta la Regione perché avrebbe preso per oro colato il Piano Mancini; adesso la si contesta perché per realizzarlo procede, con il Comune, rispettando la severità delle procedure, ascoltando chi partecipa alle conferenze di servizio, correggendo ciò che c’è da correggere, integrando ciò che c’è da integrare, verificando carte, conti, numeri, previsioni.
Questi studi, questi numeri, queste prudenze, non erano certo nella testa di chi nel passato ha fatto costruire le case sui fiumi, negli acquitrini, sopra i canali. No, quella era l’Olbia da bere, l’Olbia del tutto facile, tutto comprabile, tutto vendibile, quella era l’Olbia senza regole. Bene quell’Olbia è finita sott’acqua perché era ed è un’Olbia sbagliata, priva di regole, fondata sull’abuso, ostile a ogni procedura e a ogni verifica; era ed è l’Olbia della forza bruta, della prepotenza degli uomini di successo. Bene, quell’Olbia ha fatto danni enormi che oggi costano circa 10 miliini di euro ai contribuenti sardi. Facciano, le prefiche del fallimento, la loro campagna elettorale andando in giro a dire: “Scusatemi, noi siamo quelli che hanno fatto danni per 100 milioni di euro. Ognuno di voi, compresi bambini, anziani e nullatenenti, dovrà pagare 2000 euro per rimediare ai nostri danni. Siamo persone serie: facciamo debiti e danni in grande!”.