di Paolo Maninchedda
Siamo ormai abituati ai bollettini del pessimismo della CNA , ma quello emesso ieri merita alcune riflessioni.
Dai dati rielaborati dalla CNA risulta, in buona sostanza, che le imprese sarde vincono l’80% delle gare d’appalto piccole, ma perdono quelle grandi.
Sui numeri, però, il comunicato CNA è un po’ oscuro, per cui mi permetto di accendere la luce e anche di suggerire di non prendere le letture fatte a Roma da un punto di vista romano come oro colato da riversare tal quale in Sardegna. Le statistiche sono una forma della politica, non della verità.
Quanto denaro è stato immesso in Sardegna con gli appalti pubblici nel biennio 2014-2015?
La risposta è 1,2 miliardi di euro, non proprio una cifra irrilevante. Non sarà tutto merito della Regione, ma un po’ di merito forse c’è, che dite?
Quanto, in valore, è finito in lavori delle imprese sarde? 439 milioni di euro, mentre 761 sono andati a imprese italiane. Ma CNA non dice se i totali sono calcolati sui valori di aggiudicazione o sui valori messi a gara. Pazienza, perché la CNA dice anche che i ribassi praticati dalle imprese sarde sono sensibilmente inferiori rispetto a quelli praticati dalle imprese italiane. In sostanza, in termini di ricchezza, occorre non solo valutare il valore messo a gara, ma anche e soprattutto la redditività del lavoro svolto.
Ma il dato più importante che viene minimizzato è che l’80% (ripeto, l’80%) delle gare sono state vinte da imprese sarde. In totale le gare sono state 1311, quindi 1.048 gare sono state vinte da imprese sarde. Che cosa significa? Significa che le stazioni appaltanti della Sardegna sono sempre più consapevoli della taglia della gare compatibile con la struttura economico-finanziaria delle imprese isolane. E si può ricordare che col nuovo codice degli appalti l’articolazione delle gare in dimensioni medio-piccole è incentivata e non scoraggiata? Lo si può dire o giacché non è una brutta notizia non è una notizia? Come mai non si fa il titolo su questo dato?
CNA pone un’altra questione: gli appalti sopra i 5 milioni di euro vedono le parti invertirsi: il 72% va a imprese italiane, il 28% va a imprese sarde. Questo dato dice una sola cosa: le imprese sarde hanno un problema di capitalizzazione e quindi di dimensione, ma bisogna rispettare questo ordine logico: difetto di capitalizzazione e quindi di dimensione.
Perché le imprese sarde non sono adeguatamente capitalizzate? Perché l’eccessiva pressione fiscale consuma la loro ricchezza e impedisce l’accumulo di capitale. Non solo: giacché la pressione fiscale rimane invariata rispetto alla ciclicità delle crisi economiche, nelle regioni in cui proprio il fisco ha impedito adeguate accumulazioni di capitale, le crisi consumano interamente la ricchezza delle imprese e le condanna a stare sempre al minimo vitale, le fa solo sopravvivere.
La questione è dunque politica ed è una questione da cui CNA scappa da sempre. Da una parte denuncia l’eccessiva pressione fiscale, dall’altra rifiuta di trarne le conseguenze politiche.
Il fisco italiano, uguale da Aosta a Pantelleria, è sommamente ingiusto e anche la progressività dell’imposta applicata in contesti di accumulazione non paritari è ingiusta.
Ma dire che la pressione fiscale patita dalla Sardegna è doppiamente ingiusta (troppo alta e troppo indifferente al differenziale di ricchezza accumulata nelle diverse regioni della Repubblica Italiana), significa porre una questione di sovranità, giacché il fisco, cioè le tasse, sono la forma più impattante di intervento e di potere dello Stato. Qui sta il mio dispiacere con CNA, con Confindustria, con i sindacati e con tanti altri: lavoro, ricchezza e sovranità sono legati, invece tutte queste sigle, figlie dell’educazione italiana, arrivano con l’analisi sempre fino ad un certo punto e poi scappano.
Se si vuole un fisco più giusto si deve volere un potere più giusto.
Perché ci si lamenta del fisco e non si lotta per un potere sardo, moderno, agile, non fondato sul sospetto, orientato per la libertà, la ricchezza e il lavoro?
In altre regioni d’Europa, gli imprenditori grandi e piccoli hanno fondato gli Stati. Qui in Sardegna si fanno fare le diagnosi dagli altri. Per fortuna, non tutti.