di Paolo Maninchedda
La notizia della morte di Sciola mi ha raggiunto mentre ero a Roma. Ho chiamato uno dei suoi più cari amici che, proprio per questo, oggi non è tra i dichiaranti presenti sui giornali. Penso che si debba fare così quando questa maledetta morte ci colpisce: chiamare chi ha amato e ama ancora chi è scomparso e nutrirci della sua nostalgia.
Che cosa ci ha insegnato Sciola?
Non so agli altri, ma a me ha insegnato la carnalità e la spiritualità delle pietre.
Pinuccio era molto un animista illuminista, un panteista, sentiva i principi vitali della natura e sapeva che carne e spirito, sesso e amore, femminile e maschile, erano, sono e saranno per sempre inscindibilmente legati. Per lui la materia era una porta dello spirito, non un limite.
Aveva due mani grandi come benne e delicate come le piume di un passerotto. Carezzava le pietre come io carezzo il volto delle mie figlie. Accendeva grandi falò nella sua casa di San Sperate e sognava di bruciare per sempre con quella fiamma.
Chi in Sardegna è vissuto in mezzo alle pietre e agli alberi sa che le pietre hanno un profumo, sa che sanno fare compagnia. Più sono grandi, più ci piacciono.
Io le trovo bellissime.