di Paolo Maninchedda
Ore 4 di ieri 5 maggio. Caffé nero bollente, il gatto vicino, il silenzio intorno, seduto sullo scalino del cortile di casa a guardare il melograno, il limone e l’arancio, i tre inquilini delle aiuole intono al pozzo.
E mi parte in testa “La compagnia“, versione Vasco, perché mi basta poco per essere momentaneamente felice.
Inizia una giornata durissima: volo per Roma, incontri ripetuti nei palazzi ministeriali e all’Anas. Risultati? Molti, ma non tutti immediatamente visibili. Prima di “fare” bisogna conoscere e capire, organizzare i poteri e le procedure, capire gli uomini, sapere di chi fidarsi e di chi no. Tutto questo importantissimo lavoro politico è e resta sconosciuto, perché la politica, quella fatta di bolle di sapone, di annunci, di sola e vacua comunicazione, ha bisogno di dire sempre e comunque qualcosa anche quando non ce n’è bisogno.
Io sento troppi annunci, troppi proclami, troppe parole. La realtà è drammatica, gli annunci sono ottimisti. Come è possibile?
Il momento della Repubblica italiana è difficilissimo, altro che chiacchiere, e questo si ripercuote duramente sulle politiche della Regione Sardegna e sulla nostra libertà.
Ciò di cui non si è consapevoli è quello che io chiamo il “doppio corso” della moneta politica italiana, che genera il rischio del doppio corso sardo.
Il “primo corso” è quello della moneta programmata. Piogge di miliardi e di milioni, oggetto di conferenze stampa governative e di sviolinate televisive. Questo è il corso annunciato.
I soldi veri, quelli che escono, sono quelli legati ai tetti di spesa della cassa dello Stato, che sono strettissimi e sorvegliatissimi.
Un esempio per tutti.
Il ministro Franceschini ha ottenuto un Piano dal Cipe per un miliardo di interventi sul patrimonio culturale della Repubblica. Ma un miliardo in quanti anni? Di fatto, in 4 anni (2017-2020). Spesa reale all’anno? 250 milioni. Quanto per la Sardegna, che ha il patrimonio archeologico che conosciamo? 15 milioni di euro per cominciare a rimettere a posto La Maddalena? Quanto è in percentuale 15 milioni su 1 miliardo?
La percentuale per la Sardegna è l’1,5%, in quattro anni. Ecco, questo sarebbe l’annuncio corretto secondo il corso reale, il secondo corso della moneta politica italiana.
Ma non basta. Perché poi intervengono altri inciampi preordinati al non fare. In primo luogo la registrazione alla Corte dei Conti della Delibera Cipe.
Racconto un episodio simpatico ed emblematico dei trappoloni italici. Il 23 dicembre dell’anno scorso, il Cipe assunse la delibera sugli svincoli della SS 131 nord. Poi ha impiegato 4 mesi a registrare il Decreto e l’Anac ha impedito all’Anas di svolgere alcuna attività che non abbia copertura finanziaria, esplicitando che finché le delibere Cipe non sono registrate, la copertura finanziaria è inesistente. La conseguenza è che l’Anas ha ripreso a progettare a fine marzo. Nel frattempo è entrato in vigore il Nuovo Codice degli Appalti che ha cambiato le regole per bandire le gare dei lavori. Risultato: oggi la Regione sta col fiato sul collo di Anas per bandire comunque entro l’anno perché il Governo italiano che con una mano dà con l’altra cerca di togliere. Tranquilli, gli svincoli vanno a gara quest’anno, ma ho voluto che fosse chiaro in quale disordine dolosamente pensato e gestito si trovano ad operare le Regioni.
Ritorniamo ora a La Maddalena e proviamo a pensare un tiraggio dei lavori di 4 milioni all’anno per quattro anni. Potremmo farcela. Ma adesso anche la Delibera Cipe del miliardo di Franceschini va in registrazione e, facendo un po’ di conti, se tutto va bene verrà registrata fra quattro mesi, verso settembre-ottobre. Dopo di che sicuramente verremo chiamati e ci diranno: «Avete progetti esecutivi»? E loro si aspettano che noi diciamo: «No, perché voi, cioè la Protezione civile, non si è degnarta neanche di far fare una perizia sullo stato di consistenza delle opere ormai dismesse dal gruppo Marcegaglia». Cosa risponderanno:«Accidenti, ci spiace, l’indirizzo è finanziare solo i cantierabili. Perdete l’annualità di quest’anno».
Ecco, questa è l’Italia, che non va imitata, che va criticata, contestata, perché è l’Italia della cipria in faccia e dei piedi sporchi, l’Italia dei doppi pesi e delle doppie misure.
Guai a fare cose non meditate, non bene istruite per la fretta di farle. Guai ad ammalarsi di carte e non di fatti. Guai a nascondere la difficoltà. Meglio dire: «È dura», che dire «Tutto a posto», mentre la gente patisce uno dei periodi più duri della storia recente.