di Paolo Maninchedda
Il Partito dei Sardi ha costruito il nuovo rapporto tra la Corsica e la Sardegna. Ieri, lo stesso partito si è fatto da parte per non egemonizzare l’incontro tra le due delegazioni istituzionali. Non abbiamo aperto bocca, anche quando abbiano sentito parlare dell’Italia e della Francia come nazioni e non come stati. Abbiamo avuto e continuiamo ad avere un atteggiamento da costruttori dello Stato e non da protagonisti di uno spot. Ciò che abbiamo fatto nei due giorni passati – costruire la patria e non egemonizzarla – è esattamente ciò che vogliamo fare per il futuro. Vorremmo essere inclusivi con tutti i sardi, ridurre le distanze, costruire dialogo, fondare lo Stato Sardo su un nuovo patto tra sardi, non comandare su alcuno.
Adesso bisogna far ripartire l’interscambio, bisogna che denari, merci, persone, progetti, scuole e università ripercorrano il budello di mare che la politica ha trasformato in frontiera. La storia fiscale della Corsica e della Sardegna è un paradigna di come subordinare le isole dominandone le relazioni esterne. La Corsica è stata costretta a fare di Parigi e Marsiglia i suoi hub, noi siamo stati costretti a ruotare su Fiumicino e Civitavecchia-Livorno. In questi giorni è bastato mostrare nei colloqui informali, che sono quelli che contano perché stabiliscono relazioni durevoli, come funzionerebbero i trasporti se fossero integrati tra le due isole e non mediati da Francia e Italia, perché emergesse un nuovo e più luminoso futuro politico e economico. La Corsica ha un Pil pro capite più alto ormai di dieci posizioni rispetto alla Sardegna (calcolato rispetto alla media europea), ma ha anche un sistema economico notevolmente più piccolo e fragile di quello sardo. Si potrà obiettare che tutto ciò è dovuto a una delicata politica di trasferimenti dello Stato Francese legata a eventi del passato, ma è indubitabile che è anche generato da una strategia che non guarda al manifatturiero ma al settore dei servizi, seppure anche questa scelta abbia impoverito notevolmente il loro tradizionale sistema dei saperi, senza sostituirlo con nuove competenze. Un quadro che anziché produrre lamenti ha suscitato discussioni, necessità di scambi, di società miste, di commerci, di studenti che vanno e vengono.
Tutti gli Stati hanno bisogno di politica estera. Facciamola senza paura.
Quando ieri mattina alle 8 abbiamo varcato, mentre la città si svegliava, la sbarra d’ingresso del palazzo della Regione, Gilles Simeoni ha raccontato a me, a Modesto Fenu e a Tore Terzitta (gli unici svegli della delegazione sarda a quell’ora) che 25 anni fa, proprio intorno a quella sbarra, loro avevano subito una carica della Gendarmerie (Gilles era tornato a casa scalzo e pesto) perché protestavano a favore dell’uso ufficiale della lingua corsa. L’attuale presidente della Corsica è stato scalzo e oggi ha scarpe istituzionali; non bisogna avere paura dei propri ideali. Ieri, sui tavoli delle delegazioni, nell’atrio d’ingresso del palazzo della Regione, non c’era una sola bandiera francese ma solo quella sarda, quella corsa e quella europea. Mi sono sentito a casa.
Comment on “Da giovani picchiati dalla polizia a presidenti della Regione: il non detto del viaggio in Corsica”
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“…..non c’era una sola bandiera francese ma solo quella sarda, quella corsa e quella europea…”
Un piccolo gesto, un grande significato.
Ma “noi (cioè voi rappresentanti dell’attuale istituzione), in occasioni simili, il tricolore?
Tranne pochi, credo, i più (maggioranza e opposizione) si strapperebbero le vesti.