di Paolo Maninchedda
Sono molto adirato, per cui prendetemi con un pizzico di beneficio di inventario.
Il Presidente della Regione sa che io penso che tendenzialmente chi è benestante non si fa curare in Sardegna e che ha molte buone ragioni per farlo.
Lo sanno anche i colleghi di Giunta. Quando avemmo in famiglia un problema sanitario, un grande primario di un reparto sardo (che sta ottenendo grandi risultati nonostante gli rendano la vita impossibile ogni giorno che Dio manda in terra) mi consigliò di andare in Italia, non perché lui non fosse in grado di intervenire, ma perché per una biopsia ben fatta e affidabile, da cui dipende la scelta dei chemioterapici, il suo ospedale sardo era costretto a mandare nella penisola i campioni di tessuto prelevato, giacché il laboratorio interno faceva troppi errori nella lettura dei vetrini. Tempi dell’operazione: 15 giorni. Io non avevo tempo.
Poi è accaduto che per mille motivi che non sto a riassumere, sono entrato in contatto col mondo del dolore, non quello morale e psicologico che ciascuno di noi, per una condanna pronunciata chissà quando, sperimenta da quando nasce a quando muore e nessuno è in grado di spiegarne il perché, ma quello fisico, quello che ti toglie la voglia e la forza di stare in piedi.
Il 13 ottobre 2015 il consigliere del Partito dei Sardi Augusto Cherchi ha scritto questa lettera aperta al Presidente e all’Assessore alla Sanità. Un accorato appello a che la Sardegna istituisse la rete regionale della terapia del dolore. Una garbata segnalazione del fatto non glorioso della restituzione delle risorse nazionali italiane stanziate per la rete del dolore e non utilizzate dalla Regione. Per mille motivi la lettera non ottenne risposta.
Adesso Augusto Cherchi e i consiglieri del Partito dei Sardi e del gruppo Democrazia, Sovranità e Lavoro hanno presentato un’interpellanza.
Nel frattempo, i medici capaci che combattono il dolore, e che sono un’eccellenza riconosciuta, continuano a lavorare in silenzio, concentrati sui pazienti e non su astute strategie di corridoio, non su abili posizionamenti politici, non su accurate vestizioni di triangoli, grembiuli e compassi, non sul leccaculismo italico a incentivazione economica flottante. Lavorano per i pazienti, lavorano a conservare tecniche non diffusissime, non praticabili e praticate da tutti, estremamente utili e che non possono insegnare perché confinati in spazi angusti, perché non riconosciuti, perché ignorati.
Non è dimostrabile che la sanità sarda ha due grandi ambienti condizionanti: uno politico a colori arcobaleno ma con una dominanza di rosa, l’altro massonico. Non è dimostrabile, ma è vero. Quando ci si ammala se ne diventa consapevoli ma è troppo tardi. Proviamo a combattere da sani, Luigi!
L’incivile assenza tutta sarda di una politica sanitaria contro il dolore.
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Gli esiti nefasti della sanità loggiante in salsa rosa”
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Caro Paolo , ne abbiamo parlato tante volte. La sanità sarda è vittima di 2 forze , una dei baronati universitari , che soprattutto in medicina continuano ad imperversare a danno dei talenti che vanno via, seconda , la politica che dovrebbe smettere di occuparsi di concorsi di primariati e lasciare le corsie degli ospedali. Detto questo, anche noi in Sardegna subiamo l’influenza cattolica secondo la quale con il dolore si arriva in paradiso e a nessuno importa se in terra viviamo in un inferno. Ancora non siamo riusciti a sdoganare la cannabis terapeutica che avrebbe alleviato il dolore a moltissimo malati , ma è più facile assecondare i bigotti e pensare che “il dolore” , quello degli altri, sia un valore da coltivare . Non scrivo altro perché se no mi censuri e ne avresti ragione perché il mio stato d’animo sull’argomento non mi rende prudente.
Monsieur Demolé,
Lei che impunemente ricorda nello pseudonimo l’ultimo gran maestro dei templari Jacques de Molay avrà una mia risposta articolata quando si firmerà col suo nome.
Stimatissimo Assessore,
riscontro nelle Vostre parole una grande preoccupazione, da me condivisa, legata al sistema della sanità in Sardegna. La Vostra preoccupazione è anche la mia, ma non riguarda solo quel settore, ma purtroppo li comprende tutti; abbiamo incalcolabili problemi di vario tipo, sanità, trasporti, energia, infrastrutture, istruzione, economia, ecc.. La mia opinione, però, diverge dalla Vostra per quanto concerne le cause che hanno determinato i problemi; in particolare, scrivete di un sistema sanità condizionato dalla Massoneria. In Italia, in generale, la Massoneria è sempre stata condannata ad essere il capro espiatorio degli interessi individuali, delle strategie di potere, del governo occulto del Paese, del malaffare. La Massoneria, in verità, è un’antica Istituzione che ha nei suoi principi di base la Morale e l’Etica, nessuno, infatti, può essere costituito Libero Muratore se non ha proprie queste Virtù fondamentali. Alcuni che chiedono di entrare e che sono suggestionati dai pregiudizi che circolano nella quotidianità, mancano alla base delle Virtù essenziali, proprio perché il loro obiettivo è esattamente entrare a far parte dell’Istituzione per perseguire i propri interessi. Questi sprovveduti finiscono con l’abbandonare dopo pochissimo tempo, quello necessario per capire che non c’è da prendere, ma da donare amorevolmente. La Massoneria è costituita di Uomini, con i loro difetti, ma anche i loro pregi e quello che si propone è il miglioramento dell’Uomo, tramite l’approfondimento, la conoscenza di se stesso e degli altri, mediante uno studio condiviso al fine di poter soffocare, per quanto possibile, i vizi umani ed esaltarne le Virtù.
In tutta franchezza, penso che non sia la Massoneria a condizionare le scelte legate alle strategie di governo o di potere in generale, ma la politica come giusto che sia. Il problema è che a fare politica attiva spesso si cimentano persone di enorme pochezza intellettuale, che vedono nella stessa l’occasione per cambiare la propria vita e non quella degli altri.
Ammirato Professore, la nostra Isola ha bisogno di Libertà. Le persone che si occupano della politica incapaci sono tante, le abbiamo volute noi lì, con il nostro voto confusi dalle false aspettative perché legati profondamente ad un sistema che non ha tra i suoi valori di base quelli morali e del sacrificio, ma la diffusa convinzione del massimo risultato con il minimo sforzo. Le persone veramente capaci, purtroppo, non si dedicano alla politica perché troppo impegnati a sopravvivere in questo sistema clientelare nel quale la meritocrazia è una mera utopia. I pochi meritevoli che riescono, come Voi, a raggiungere la “sala dei bottoni” sono poi impossibilitati a creare le condizioni per migliorare il sistema in quanto una battaglia si può condurre da soli e magari anche vincere, ma, alla lunga, la guerra non si può vincere da soli. Accrescere la Libertà dell’individuo significa poterlo liberare dalla falsa promessa, dalla falsa aspettativa millantata dal candidato alla poltrona di turno, che con il voto baratta la soluzione alle preoccupazioni di una famiglia. E’ vergognoso sfruttare le difficoltà altrui per raggiungere l’interesse personale; è umiliante per l’individuo rinunciare alla propria Libertà.
Pertanto, le Vostre osservazioni, per quanto condivisibili, dovrebbero essere mirate alle deviazioni dell’uomo (con la o minuscola), non di una nobile Istituzione, che con i suoi Prinicipi millenari, tramanda una Tradizione per il miglioramento dell’individuo, altrimenti si potrebbe pensare che un Uomo migliore possa essere pericoloso per i traguardi della politica attuale.
Io sono un simpatizzante del Partito dei Sardi, sono un vostro elettore, sono una persona che crede che alla base di una nazione ci debbano essere degli ideali, delle regole, delle virtù di rettitudine, etica e moralità, guida senza le quali l’uomo perde la strada; sono un Libero Muratore, ma soprattutto sono un Uomo Vero.
Giacomo Demolè
Dolor, tumor, rubor, calor, functio laesa. Capiamo bene! Il dolore è il disagio più intimo che l’essere umano vive in solitudine, che può renderlo vulnerabile fino all’invalidità. Nell’ordine, è il motivo principale per cui ci rivolgiamo al medico, quello più direttamente collegato alla functio laesa, spesso di competenza multidisciplinare, eppure, non ricompreso direttamente nel raggruppamento maggiore delle patologie, per cui è trattato, solo in extrema ratio, come patologia a se stante. Il dolore cronico, quello neurologico, talamico, senza substrato, è tra le patologie più responsabili della mobilità sanitaria interregionale, quella fetta di sanità passiva, che per fortuna in Sardegna non impatta così negativamente sul bilancio sanitario (mobilità attiva +17, passiva -75, saldo -58 mln di euro). Qualche parola sulla mobilità. La Sardegna è classificata regione ‘autosufficiente’, ‘autocontenuta’, potenzialmente possiamo curare tutti dentro la Regione, abbiamo i numeri, bilanciando i bassi costi degli esodi. La Sardegna risulta tra le regioni ad alto tasso di fuga (e basso di attrazione per trattamenti e cure), assieme a Calabria, Sicilia, Campania, Valle d’Aosta e Puglia. Regioni attrattive sono naturalmente la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Toscana, il Veneto e il Lazio: in esse la mobilità ((altrimenti detto: se potessimo offrire (‘vendere o scambiare’) dei servizi d’eccellenza!!!)) muove volumi enormi di attività e denaro. In Italia il flusso va dal sud al nord, con saldi positivi al nord e chiaramente negativi al sud. La Lombardia, regione detta ‘virtuosa’, è regione attrattiva, preserva un altissimo tasso di attrazione (mobilità attiva 766), ma altrettanto non autosostiene le cure (sanità passiva 325), con un saldo attivo + 441. Forse in questo senso dovremmo mutuare qualcosa. Lo fa grazie a patti di continuità con le regioni vicine, cosa che noi non possiamo evidentemente fare (ahi l’insularità!), con cui riesce a compensare chi non riesce a curarsi in regione sia per le lunghissime liste d’attesa che per l’altissima spesa out of pocket, destinata fondamentalmente ai flussi migratori dal sud al nord Italia. L’art. 19 Patto della Salute 2010-2012 dispone infatti sull’attuazione di strumenti di governo della domanda, tramite accordi tra Regioni confinanti per disciplinare la mobilità sanitaria. Così è possibile regolamentare omogeneamente prezzari e tariffari relativi a prestazioni, agevolare percorsi di qualificazione, razionalizzare i trasporti ecc..Ci sarebbero tante osservazioni in merito. Da noi il tasso di fuga è relativo, la situazione è variegata, ma il fenomeno della mobilità è assolutamente sotto controllo. Non è questo a generare sprechi in sanità. Abbiamo tanti residenti domiciliati in continente ove fruiscono di servizi e cure tutto l’anno (e tanti bambini sardi nascono fuori); ci sono i benestanti che effettuano la scelta dell’opting out verso il continente, decidendo di fuoriuscire dal sistema pubblico sardo; e infine ci sono casi di estrema necessità in cui, vuoi per inefficienza di servizi, vuoi per carenze strumentali o divari strutturali interni, vuoi per trapianti, è meglio rivolgersi oltremare. Forse dovremmo concentrarci sulla disomogeneità interna dei servizi in Sardegna: abbiamo Aziende ospedaliere d’eccellenza (o loro servizi interni) e per contro Aziende in grado di garantire offerte di minima. Questo abbassa la media nazionale. L’offerta è polarizzata al Sud Sardegna (Asl 8 di Cagliari con AOB e AOU) e nella Asl1 di Sassari. Poi c’è il fenomeno Olbia, caratterizzato dall’ipersaturazione dei servizi per aumento della popolazione. Bisognerebbe ri-organizzare la mobilità infraregionale e meglio attrezzare le Asl di un adeguato parco tecnologico, evitando così l’ipersaturazione di determinati servizi (vd. istodiagnostica, radioterapia, interventi aorto-coronarici, valvuloplastiche) e normalizzare i gradienti di spostamento interni. La sanità è il primo settore che rischia di sperimentare le diseguaglianze (accesso e fruizione) nella tutela della Salute. Purtroppo questo non è mai all’odg dei tavoli tecnici in Sanità. Eppure l’Osservatorio epidemiologico della Sardegna, che rileva i flussi informativi per il Ministero, è uno tra i più attivi e puntuali d’Italia. Allora la questione si fa tutta politica. Servono manager competenti e possibilmente non scelti dalla politica. E’ indubbio che ci sono soluzioni di cura, fuori ma anche dentro l’Isola, che possono essere sfruttate solo dai segmenti più forti della popolazione. Ma il fenomeno della migrazione sanitaria va fondamentalmente scoraggiato. Esiste anche un Programma nazionale di mobilità ed esito delle cure (PAI), esteso a tutte le regioni, che non dimostra affatto l’utilità, o per lo meno non giustifica, almeno l’80% degli esodi della salute in Italia. Un conto è capire quando la tempestività della diagnosi è determinante ai fini delle cure, e l’efficacia delle cure non corrisponde alla disponibilità di ciò che non si trova nella propria regione. Ma nelle regioni (non in Sardegna), sta venendo meno l’aspetto discernente della medicina.; e la mobilità è anche indicata come un aspetto distorcente della sanità, ovunque in crescendo e lesivo, che tende a sospingere dei comportamenti opportunistici da parte di altre regioni, quando queste alla fine offrono soltanto servizi più rapidi, e un bel contorno d’accoglienza. Il monito è quindi che una seria riorganizzazione logistica delle reti di patologia, una buona ripartizione delle offerte locali, un buon monitoraggio dei reparti di diagnostica, pubblici e convenzionati, per evitare tanti viaggi inutili. Una sanità sana garantisce dei gradienti infraregionali di mobilità accettabili, anche collegati ai trasporti (il costo sociale degli spostamenti!) e alla comunicazione dei dati sanitari tra le strutture, oggi troppo carente. Una buona sanità trasforma la competizione interaziendale in opportunità territoriale, distingue quanto un servizio dipende dalle competenze interne e quanto dalla tecnologia. Le reti di assistenza vanno insomma ripensate non solo nell’ottica della copertura territoriale, ma anche in termini di qualità e rapidità. E’ una questione di governance.