di Paolo Maninchedda
Ieri il Papa ha detto due cose: 1) chi costruisce muri non è cristiano; 2) non mi occupo di politica (italiana). Un’apparente contraddizione che deve essere tradotta così: «Chi costruisce muri, non dà da mangiare ai poveri, non insegna ai poveri come non rimanere poveri, non si contrappone a chi impoverisce le persone e le rende povere, non contrasta chi distrugge il creato e l’uomo, non soccorre i perseguitati, non conforta gli ammalati, non si preoccupa dei suoi fratelli, non è cristiano. Preso da queste cose sostanziali, non riesco a seguire le ultime puntate dei matrimoni all’italiana».
È la prima evidente sottolineatura pontificia del provincialismo della politica peninsulare (e noi, dal piccolo della nostra patria insulare ne siamo fieramente soddisfatti).
Il numero dei cristiani e dei cattolici è in aumento nelle aree povere del pianeta: Africa, America Latina, Estremo Oriente ecc. Non a caso queste sono le zone in cui i cristiani sono perseguitati, al punto che anche la laicissima Onu ha dovuto convenire sul fatto che la confessione religiosa più perseguitata al mondo è proprio quella cristiana.
Come si è cristiani nei paesi poveri? In un modo diverso da come lo si è in Europa, in un modo sostanziale. Il cristianesimo lì non è morale, è carità e trascendenza. La morte è talmente vicina, talmente consueta che la domanda sul nostro destino è quotidiana come la risposta che Gesù ha promesso. La carità lì non è cessione di quote del proprio reddito; è una pratica che fa la differenza, perché conferma una fraternità autentica in un mondo feroce, violento e competitivo. Nelle parrocchie brasiliane non si chiede a una giovane o a un giovane se si prostituisce oppure no; si sta insieme a loro sapendo che se lo fanno, lo fanno non per vocazione ma per necessità e quindi si lavora a rimuovere la necessità. I conservatori europei non capiscono Bergoglio perché non hanno mai vissuto in quei contesti, dove il male ha forme più sofisticate dei complicati gusti sessuali dell’umanità, della contraccezione, del divorzio ecc. Bergoglio sa che ogni cristiano, vivendo da cristiano, fa politica perché cambia il mondo; non chiede pertanto che siano i parlamenti a ratificare e generalizzare le scelte cristiane. Chiede ai cristiani di essere cristiani, non agli stati di essere cristiani. Questa laicità sconvolge i peccatori italiani, invece a persone come me piace moltissimo. Ho sempre pensato, da isolato, che l’educazione cristiana (quando non viene ridotta a una serie di precetti) insegni una forma altissima di laicità, perché educa alla relatività della storia (educa a non sacralizzare la storia, con buona pace dei nipotini di Hegel). Come ho sempre pensato che noi cristiani dobbiamo badare a non divorziare noi, non a impedire agli altri di farlo; dobbiamo badare a non abortire noi; dobbiamo badare a non discrimare; dobbiamo badare a soccorrere e a soccorrerci, non a pretendere che tutti facciano come noi.
Speriamo che i pigrissimi vescovi italiani (non parliamo dei cardinali, medievale condizione che non ha alcun fondamento evangelico; non parliamo del senso del ridicolo che si prova a vedere passare i principi della Chiesa tutti intabarrati in sottane senza senso. Quando a Roma li vedevo passare, mi prendeva uno strano senso di sconforto, di disagio, di pena; per loro) e i giovanissimi preti insottanati che hanno ripreso a percorrere le strade della Repubblica (con esplicitazione nei simboli tradizionali – la sottana lefreviana – della paura della loro debolezza culturale e psicologica) capiscano che che cosa sta profondamente a cuore a ciascuno di noi: una risposta sul nostro destino, non un’enciclopedia sul nostro peccato, che peraltro conosciamo a memoria.
Comments on “Invece sì, il Papa fa politica”
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Sono completamente d’accordo.
È un concetto chiaro, una posizione che condivido. Purtroppo i primi ad erigere barricate contro questo principio sono proprio i cattolici o presunti tali, più innamorati dell’apparenza che della teologia cristiana e gli stessi atei senza possibilità di ritorno anch’essi radicati a concetti esclusivi a priori per cui qualsiasi azione di uguaglianza e tolleranza è solo apparente e finalizzata al proselitismo e mai alla vera apertura e abbattimento di quei muri.