di Paolo Maninchedda
Avant’ieri a Sassari ho avuto un breve colloquio con Bruno Dettori, ex consigliere regionale ed ex deputato, oggi influente e rispettato dirigente PD.
In buona sostanza Bruno ha usato una sola parola per descrivere la sensazione oggi prevalente in Sardegna: disorientamento.
In altre parole ciò significa che se la Sardegna ha una rotta, essa non è condivisa e diffusa socialmente; se non ce l’ha, ormai è evidente che non ce l’ha.
È chiaro che se questa percezione è vera, essa suona come una durissima e amara critica in primo luogo verso il governo della Regione. Bisogna farci i conti.
È vero che il saldo di questo anno e dieci mesi di governo è passivo o nullo?
Ci sono due modi per rispondere: elencare le cose fatte o chiedersi se c’è una parola, o un’immagine, che le riassuma.
Si potrebbero elencare tanti risultati, ma difficilmente si riuscirebbe a trovare la bandiera, univoca, chiara, leggibile, che le sappia rappresentare.
La bandiera di cui parlo non risponde alla domanda: “Che cosa hai fatto?”. Risponde invece all’altra e più stringente questione: “Perché lo hai fatto?”. La bandiera non è il contenuto, ma il senso.
Quale è il racconto (la bandiera) che tiene insieme tutte le cose fatte?
Una risposta, a mio avviso insufficiente e grigia, è: “La Giunta Pigliaru è la Giunta delle buone pratiche”. In buona sostanza questa lettura, tutt’altro che marginale nel ceto politico ma, parallelamente, incomprensibile tra la gente, dichiara un’identità del governo regionale ostile a qualsiasi cornice ideologica che vada oltre la cornice istituzionale (cioè: il governo regionale è ciò che la legge gli consente di essere) e tutta orientata a un pragmatismo efficiente in ogni settore: l’identità politica diverrebbe la sommatoria di tante piccole e grandi cose fatte. Il problema è che questo “racconto” (inevitabilmente schiavo del quotidiano e parcellizzato) non regge, perché condurre a efficienza ottimale un sistema marcio come quello sardo richiede almeno il sacrificio di una generazione, per cui, nell’immediato, i livelli di efficienza risultano quotidianamente, notevolmente e inevitabilmente inferiori rispetto a quelli inefficienti e l’identità della buona pratica si trasforma in un auspicio, in uno sforzo retorico continuamente incrinato dai fatti, in una parola, in una sconfitta generata dalla sproporzione tra l’annuciato e il possibile. Faccio l’esempio più classico: tutto si può dire all’Assessore Deiana, ma ha trovato dei treni abbandonati e li ha messi sulle rotaie. Ovviamente i treni sono macchine e si guastano. Un guasto non si ripercuote su una Giunta, ma se la Giunta costruisce tutto sull’estetica della buona pratica, il guasto del treno si ripercuote sulla Giunta, nonostante sia un fatto meccanico e non politico.
La seconda risposta possibile è: “Questa è la Giunta del ripristino delle relazioni di leale collaborazione con il Governo e lo Stato italiani”. Il problema è che non è vero, non per difetto di volontà da entrambe le parti, ma perché lo Stato italiano è in preda a una crisi di confusione e di contrasto tra i suoi stessi poteri di tale portata da aver reso la guerriglia tra i poteri una modalità standard della lotta politica. L’Italia non è uno Stato unitario fondato sulla leale collaborazione, ma sulla più feroce competizione. È emblematico ciò che sta accadendo rispetto alle servitù militari, al mercato elettrico (con lo Stato schierato a protezione di Enel e Terna), alla pesca (il tonno sardo riservato in esclusiva ai pescatori non sardi), alle dighe che siamo costretti a tenere mezzo piene per una follia ministeriale sul rischio terremoti, sulle università (con la legislazione italiana che programmaticamente sta smontando il sistema universitario insulare), alla folle burocratizzazione di ogni aspetto della vita pubblica (faccio un esempio sul rischio idrogeologico: quando sono diventato assessore non era ancora partito un solo appalto su Capoterra, a distanza di quasi otto anni dall’alluvione), al ruolo della magistratura nell’attività amministrativa e politica (non c’è settore della Sardegna dove non vi sia un’indagine aperta). Non si può fondare il senso di sé sull’auspicato leale comportamento dello Stato italiano: è un’impostazione destinata alla delusione e alla frustrazione.
La terza risposta possibile è la nostra: “Questa è la Giunta della rinascita della sovranità della Sardegna”. Risposta minoritaria in questo momento, ma secondo noi l’unica veramente capace di dare senso a ciò che si fa. La Giunta dovrebbe, in questo contesto, essere il motore della ripresa della nostra responsabilità. Non più richieste, questue, rivendicazioni: no; assunzione di potere, capacità di proposta e di risposta. Ciò che deve risultare chiaro è che qualunque cosa si faccia, lo si fa per assumersi la responsabilità di una grande trasformazione storica. Mettiamo un treno a viaggiare? Lo facciamo perché stiamo pensando a un sistema nazionale sardo di trasporti efficiente e sostenibile. Mettiamo a posto fogne e acquedotti? Lo facciamo perché vogliamo avere una forte società dell’acqua nazionale sarda che fornisca buoni servizi a tariffe sostenibili. Facciamo una grande campagna di scavi archeologici? Lo facciamo per strutturare più in profondità l’attrattività della nsotra identità attuale. Cambiamo radicalmente la nostra politica energetica? Lo facciamo per il nostro sistema civile e industriale, per liberarlo dagli oligopoli e per non dipendere da due società private come Terna e Enel. Decidiamo di puntare davvero sull’agroalimentare? Lo facciamo bene, in grande, in modo ecosostenibile e produciamo carne e latte di qualità per l’Europa. Cambiano i rapproti interni tra le città e i paesi della Sardegna? Lo facciamo per sconfiggere definitivamente i localismi che consumano gli spazi di crescita della nostra coscienza nazionale? Contrastiamo col Governo Italiano? Lo facciamo per conquistare spazi di sovranità e di giustizia. Riduciamo la burocratizzazione della vita civile? Lo facciamo perché abbiamo un’idea di libertà e di equilibrio nei rapporti tra i singoli e lo Stato. Facciamo il grande partito della Nazione Sarda? Lo facciamo perché sono più i motivi di coesione su un grande progetto per la Sardegna di quelli di distinzione su fatti specifici. Apriamo un forte confronto con la magistratura italiana per la giustizia, per la qualità dell’azione amministrativa e giudiziaria? Lo facciamo perché abbiamo un’idea del rapporto tra il potere giudiziario e la libertà dei cittadini diverso da quello iscritto nella pratica giudiziaria italiana.
Perché questa risposta fondata sulla grande visione della Nazione sarda spaventa o non convince? Perché sollecita a pensare in grande. Questo è il punto. Non è tempo di piccole correzioni o di piccoli progetti. Serve una responsabilità politica di portata storica: bisogna chiudere la dipendenza culturale dalla politica del dopoguerra e aprire un’altra stagione. Più che aprirla, occorre fondarla. Questo può essere il destino compiuto o il destino mancato di questa legislatura.
Comments on “Disordine e nevrosi”
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Bravo Giorgio, mi piace il suo argomentare
…credo che il vero problema sia l’identità. E’ identitario colui che si sostanzia di valori, culture, tradizioni e saperi di una comunità in funzione dei quali è dispiegata l’azione e il sacrificio dell’uomo – singolo od organizzato – per l’affermazione/salvaguardia degli stessi.
Sono soltanto gli individui più dotati di forte personalità a distinguersi, e, nella scena politica regionale, l’Assessore è certamente l’esimio esponente.
E’ lecito tuttavia il disorientamento del popolo innanzi a politiche del governo regionale allineate al diktat del partito nazionale, a riforme che non riformano alcunché o affatto rispondenti all’esigenza di vita dignitosa della popolazione ( Lavoro – Casa – Salute: corsi di formazione a soggetti in mobilità utili più alle agenzie che al ricollocamento dei lavoratori, accorpamento autonomie locali che lasciano invariate le sedi istituzionali e gli organi di governo o soltanto capaci, al limite, di trasferire la sede della segreteria come è avvenuto nel cd dimensionamento scolastico, la serrata industriale con il terremoto sociale ormai in piena evoluzione che priva i lavoratore del sussidio sociale sostitutivo di retribuzione, la politica finanziaria orientata alla rendita e non al credito, fasce sempre più ampie della popolazione in condizione di estrema povertà ); popolazione che peraltro subisce balzelli nella stessa misura in cui fallisce l’intento della politica di arginare lo spreco della PA. La sanità è un esempio della qualità manageriale e assistenziale in Sardegna per chiunque debba sottoporsi ad accertamenti strumentali nelle strutture pubbliche.
E’ identitario, ancora, chi si muove in funzione dei valori di sopra a prescindere dagli incentivi ( sociali, relazionali, economici ).
Il disorientamento è pertanto dovuto ed alimentato per la totale assenza di contenuti e di valori sopra richiamati nella politica regionale, restrittiva ed affatto espansiva ( invito a citare un’azione almeno con riferimento ai diritti fondamentali della persona ), in cui il popolo è alla stregua di un gregge. Un gruppo più o meno numeroso da accudire per la stessa sopravvivenza del censo politico che, per bocca di qualche suo esponente, bontà sua, pensa di incrementare con l’accoglienza di extracomunitari. Già, l’identità…
Leggo sempre con attenzione gli interventi sul vostro Blog, interventi puntuali, oggettivi, sui quali talvolta mi permetto di inserirmi lo faccio anche questa volta sperando di non creare disappunto.
Si mette un treno a viaggiare, si mettono a posto acquedotti e fognature, cambiano la nostra politica energetica etc ..lo facciamo perchè…temi di forte attualità e fonti di emergenze e vertenze del lavoro a difesa di esso.
Trovo anche pertinenti e di buona visione la risposta perchè si fanno queste cose.
La metafora del treno che si mette a viaggiare avrebbe bisogno di una infrastruttura che lo sostenga per non farlo deragliare, mi pare che l’investimento fatto non riesca a supportare l’ambizione, ritengo che per mettere la Regione a viaggiare per davvero ci sia bisogno di una classe politica di diverso livello, cosa che non vedo, cosi come non vedo il treno veloce andare su binari che non lo fanno pendolare!!!
Mi permetto di aggiungere anche una riflessione sulla politica energetica, funzionale a quale modello di sviluppo?
Ad un modello di desertificazione industriale? Energia come? rincorrendo rigassificatori miracolistici in ogni dove? salvo poi scoprire che per farli marginare non abbiamo i consumi?
Continuando a considerare i Rifiuti Solidi Urbani un castigo dell’uomo quando in altri stati vengono considerati un’opportunità? continuando ad utilizzare i rifiuti organici per produrre compost con tecnologie aerobiche scaricando in atmosfera tonnellate di gas metano che producono inquinamento dieci volte maggiore della CO2?
Non vorrei essere percepito come uno che si oppone al nuovo, anzi, mi oppongo agli oppositori di mestiere a quelli che dicono no a tutto a prescindere, ma mi piacerebbe confrontarmi sul merito delle cose e forse si scoprirà che su tante non siamo distanti affatto!!!